L'aereo che si capovolge e precipita: come si è salvato il China Airlines 006

Il 19 febbraio 1985 il volo China Airlines 006 scese in picchiata dopo essersi capovolto. Sembrava una tragedia annunciata, ma l’equipaggio riuscì a riportare l’aereo in posizione orizzontale e a farlo atterrare

Screen animazione Air Crash investigation via Plane's Boom su YouTube
Screen animazione Air Crash investigation via Plane's Boom su YouTube

Un salto nel vuoto, che sembrava non lasciare scampo alle 274 persone a bordo del volo China Airlines 006, partito da Taipei e diretto a Los Angeles. Prima il rovesciamento poi la picchiata fecero pensare che per il Boeing 747 non ci fosse più speranza. Ma, a pochi secondi dallo schianto nell’oceano Pacifico, l’equipaggio riuscì a riportare l’aereo in posizione orizzontale e a farlo atterrare nel vicino aeroporto di San Francisco. Una tragedia evitata, che lasciava però diverse domande e dubbi sula dinamica dell’incidente. Fu compito degli investigatori del National Transportation Safety Board (Ntsb) fare chiarezza sull’incidente aereo.

Problemi in volo

A Taipei, Taiwan, erano le 16.22 del 19 febbraio 1985 quando il volo 006 della China Airlines lasciò l’aeroporto, diretto a Los Angeles in California. Secondo l’ora standard del Pacifico l’orologio segnava le 00.22. A bordo avevano preso posto 251 passeggeri, accompagnati da 23 membri dell’equipaggio. In cabina di pilotaggio sedevano il capitano Min-Yuan Ho, il primo ufficiale Ju Yu Chang e l’ingegnere di volo Kuo-Pin Wei. Data la lunghezza della tratta, i tre piloti erano affiancati da un secondo capitano e da un altro ingegnere di volo. Per le prime dieci ore nessun problema si presentò ai piloti e il volo procedette tranquillamente. Il Boeing 747 stava sorvolando il Pacifico, ormai vicino a San Francisco, sulle coste della California, quando incontrò una lieve turbolenza. Erano circa le 10.15. In cabina c’era l’equipaggio principale, che aveva ripreso servizio dopo aver riposato qualche ora a bordo dell’aereo. Il Boeing era condotto dal pilota automatico, che lo manteneva alla quota selezionata di 12.000 metri.

Poco dopo l’incontro della turbolenza, l’equipaggio notò una perdita di potenza del motore quattro e cercò di ripristinarlo. Prima del volo il comandante era stato informato che quel motore aveva subito due riparazioni precedenti. Quando gli venne comunicato il problema, il capitano ordinò di provare a riaccendere il motore. Ma l’aereo era ancora a un’altitudine troppo elevata perché la manovra potesse avere successo.

La velocità dell’aereo continuò a diminuire e il velivolo iniziò a virare leggermente a destra, a causa della minor spinta da quel lato. Il rapporto finale redatto dall’Ntsb nel 1986 ha raccolto le testimonianze del capitano e del primo ufficiale. “Il capitano - si legge -ha affermato che la velocità continuava a diminuire e quindi ha disattivato l'autopilota per abbassare manualmente il muso dell'aereo a una velocità maggiore in un ulteriore tentativo di arrestare la perdita di velocità”.

A testa in giù sul Pacifico

Per cercare di aumentare la velocità, il pilota spinse il muso del velivolo verso il basso. Ma la manovra non ebbe successo. Nel frattempo l’aereo si inclinava sempre di più e presto entrò in picchiata: “Lo sfondo dello strumento che conteneva la linea dell’orizzonte - si legge nel report - ha ruotato rapidamente verso sinistra e la linea di riferimento dell'orizzonte è ruotata in posizione verticale”. Una configurazione strana, così assurda da far pensare che lo strumento potesse essere guasto: l’aereo si era rovesciato e, per qualche secondo, volò al contrario. “La gente veniva sbalzata con violenza contro le pareti della cabina - riferì poi uno dei passeggeri a Indagini ad Alta Quota - Volava praticamente di tutto”.

I piloti si ritrovarono immersi in una fitta nube e, senza riferimenti visivi, non erano in grado di individuare l’orizzonte e raddrizzare l’aereo. Il capitanò riferì che quasi nel momento in cui gli orizzonti artificiali cambiarono configurazione “l'ingegnere di volo gli ha detto che gli altri tre motori avevano perso spinta”. Il volo China Airlines 006, fuori controllo, stava precipitando verso l’Oceano Pacifico: “Ho chiuso gli occhi, pensavo di morire”, fu il commento rilasciato a Indagini ad Alta Quota da una delle persone a bordo. In pochi secondi l’aereo precipitò di quasi 3.000 metri.

A bordo era il panico perché, come raccontarono alcuni testimoni, “sapevamo che eravamo in grave pericolo e non sapevamo se saremmo sopravvissuti”. Ormai poche migliaia di metri separavano i passeggeri del volo partito da Taipei e le fredde acque dell’Oceano Pacifico. Ma quando l’aereo era a circa 3.000 metri, riemerse dalle nuvole e il capitano, basandosi sui riferimenti visivi esterni, riuscì a riprendere il controllo dell’aereo e a stabilizzarlo a 2.900 metri e il volo della China Airlines sembrò tornare sotto controllo. A pochi minuti dall’inizio dell’incidente, tutto sembrava risolto.

Una tragedia sfiorata

A bordo però alcune persone erano rimaste ferite. Inoltre l’aereo era danneggiato: durante la picchiata, il portellone del carrello si era staccato e il carrello si era abbassato e bloccato. Il capitano decise quindi di dichiarare l’emergenza e di dirottare su San Francisco. Alle 10.38, il volo 006 venne autorizzato a scendere “a discrezione del pilota”. Atterrare in quelle condizioni non era un’operazione scontata. Nonostante questo, l’aereo toccò terra senza ulteriori problemi e i passeggeri vennero postati in salvo. Nell’incidente 20 persone avevano subito lievi ferite, ma tutti erano consapevoli che sul Pacifico sarebbe potuta finire diversamente: la tragedia era stata solo sfiorata.

Per capire cosa fosse successo al volo 006 della China Airlines, gli investigatori dell’Ntsb analizzarono i dati di volo, i motori, il numero quattro in modo particolare, e ricostruirono gli avvenimenti dei minuti dell’incidente. Scoprirono così che il motore 4 si era bloccato e aveva effettivamente perso potenza, ma non si era spento. Prima del volo 006, il motore era stato sottoposto a manutenzione, ma le indagini non riscontrarono alcuna avaria al motore. Per di più il Boeing 747 era progettato per poter volare ugualmente anche con un motore in meno. Un problema al motore quindi non poteva essere la causa dell’incidente. Gli investigatori conclusero che neanche gli altri tre motori si fermarono durante il volo e che, a parte la perdita di spinta del motore 4, nessun altro malfunzionamento venne registrato.

Il Report concluse invece che “la probabile causa di questo incidente è stata la preoccupazione del capitano per un malfunzionamento in volo e la sua incapacità di monitorare adeguatamente gli strumenti di volo dell'aereo che ha provocato la sua perdita di controllo dell'aereo”. Inoltre “a contribuire all'incidente è stata l'eccessiva dipendenza del capitano dall'autopilota dopo la perdita di spinta del motore numero quattro”. Il capitano infatti, concentrato sulla valutazione del malfunzionamento del motore 4, non avrebbe prestato la giusta attenzione agli altri strumenti di volo che indicavano la virata a destra del velivolo. Inoltre l’autopilota, che non poteva manovrare il timone, necessario per ristabilizzare l’aereo, non è stato disattivato tempestivamente, mascherando il pericolo imminente.

Per la prima volta gli investigatori presero in considerazione anche gli effetti del jet lag. Al momento dell’incidente l’aereo era in volo da circa 10 ore e aveva attraversato diversi fusi orari. Il ribaltamento inoltre si verificò intorno alle 2 ora locale di Taiwan, a un orario in cui il capitano era abituato a dormire. Per questo venne presa in considerazione la possibilità che la sua capacità di analizzare i dati fosse compromessa.

In realtà le prove dimostrarono che “le deviazioni e le omissioni dalle procedure prescritte dell'aeroplano rilevate nella prestazione del capitano derivano dai fattori causali, quali la distrazione e l'eccessivo affidamento sull'autopilota”.

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