Cosa si nasconde dietro la bandiera israeliana che sventola nel cuore di Teheran

Una scena che spiazza qualcuno, ma che racconta quanto i due popoli siano storicamente vicini e amici. Anche quando sono al centro dell'ennesima guerra

Cosa si nasconde dietro la bandiera israeliana che sventola nel cuore di Teheran

Una bandiera israeliana nel cuore di Teheran. Qualcuno sarà forse rimasto spiazzato, nel vedere l’immagine di una «stella di David» che sventola nel cuore della capitale iraniana. Il video è stato pubblicato oggi su “X” da Hananya Naftali, che è conosciuto e si presenta come “Israeli speaker”, in qualche modo portavoce digitale di Israele. Ma, anche se arriva da una sorta di influencer del governo israeliano, quell’immagine coglie un dato profondo e radicato nel sentire di due popoli che sono inevitabilmente divisi dalla cronaca (che è da molti anni cronaca bellica) ma storicamente si sentono vicini e amici, e non dimenticano questa amicizia, neanche nei momenti più difficili.

L’ennesima guerra, ancora in corso, è scoppiata 14 mesi fa, innescata dal feroce attacco di Hamas. I terroristi islamisti, finanziati e armati dal regime iraniano, il 7 ottobre sono arrivati a colpire entro il territorio di Israele, massacrando centinaia di giovani (pacifisti) partecipanti a un rave. Neanche dieci giorni dopo, era il 16 ottobre, e nelle piazze europee, da Londra a Milano, da Parigi a Torino, già si vedevano manifestazioni di piazza con gruppi di giovani iraniani che mostravano le bandiere dei due Paesi, mostrando un desiderio comune e diffuso di comprensione. Proprio a Milano, in questi mesi, alcuni giovani iraniani e hanno partecipato ai sit-in della Comunità ebraica. Iraniani ed ebrei hanno sfilato fianco a fianco il 25 aprile, e manifestano insieme nel Ponte atlantico, una piccola ma significativa associazione molto attiva nel sostenere la democrazia nel mondo.

I giovani iraniani conoscono bene il vero volto del regime islamista del loro Paese, il volto degli ayatollah, e non si lasciano incantare dalle sirene del conformismo anti-Israele in voga in patria (e pure in Italia). Già nel 2020 colpirono, e girarono molto in rete, le immagini degli studenti che, nelle università iraniane, facevano di tutto per non evitare di calpestare - segno di riguardo - la bandiera israeliana posta per terra, insieme a quella Usa, proprio per essere messa sotto i piedi dai passanti.

Il regime iraniano è un regime dichiaratamente anti-ebraico e conta i giorni che mancano alla auspicata distruzione di quello che chiama «entità sionista». Questa è la narrazione, e per questo obiettivo sta minacciosamente sviluppando i suoi armamenti e i suoi «proxy». Anche per questo, quando dieci giorni fa, nella città emiratina di Al Ain, è stato ritrovato il corpo senza vita del rabbino israelo-moldavo Ziv Kogan, i sospetti si sono indirizzati verso emissari di Teheran. Gli attacchi arrivano da ogni dove. E dopo il 7 ottobre, mentre Israele era impegnata nella (durissima) repressione di Hamas a Gaza, le ostilità sono continuate sul fronte nord, dove ha dovuto fronteggiare anche Hezbollah, «partito di Dio» sciita che opera in Libano come diretta emanazione della teocrazia iraniana, al pari degli Houti, che imperversano nel Mar Rosso. In questo terribile anno, poi, non sono mancati i conflitti diretti fra Iran e Israele. Gli ayatollah hanno provato ad attaccare, prima ad aprile, poi poche settimane fa, e in entrambi i casi sono stati neutralizzati dal formidabile sistema antimissilistico di Israele, che ha risposto chirurgicamente con interventi su territorio iraniano. Eppure, anche nei giorni degli attacchi, quel filo non si è spezzato.

Gli esuli iraniani hanno spesso tifato per Israele, come segreta speranza di liberazione. A volte lo hanno fatto pubblicamente. «Bibi sta facendo il lavoro sporco» ha spiegato il 3 ottobre al "Giornale" un giovane attivista di nome Ashkan Rostami, membro del consiglio transizione del Iran e del Partito costituzionale del Iran.

«Gli iraniani sappiano che Israele è con loro» ha dichiarato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in un videomessaggio rivolto al popolo iraniano il 30 settembre. «Quando l’Iran sarà finalmente libero e quel momento arriverà molto prima di quanto la gente pensi, tutto sarà diverso», ha proseguito il capo del governo e del Likud, sottolineando che quando accadrà «i nostri due Paesi, Israele e Iran, saranno in pace».
Oggi in Iran resiste una comunità ebraica più consistente di quella sparuta rimasta nei Paesi arabi dopo la cacciata. Sono circa 10mila ebrei (da 80mila che erano prima della grande cacciata fra pogrom e violenze, di quasi un milione di persone in tutto). Quei 10mila vivono in una sorta di «cattività» sottoposti a restrizioni di ogni tipo, basti pensare che sono indotti a non può festeggiare pubblicamente la Pasqua e devono osservare l’«al-Quds Day», giorno che il fondatore della Repubblica islamica dell'Iran, l'ayatollah Khomeini, ideò nel 1979 come manifestazione mondiale per protestare contro l'esistenza dello stato di Israele.

Prima del 1979, anno della rivoluzione islamica di Khomeyni, l’Iran - a differenza dei Paesi sunniti - coltivava rapporti pacifici, amichevoli e proficui con Israele. E gli ebrei non dimenticano questo legame, paragonabile al sentimento di fratellanza rivolto a curdi e armeni. Quel sentimento non è stato mai del tutto sopito. Gli israeliani, e gli ebrei della diaspora, hanno sostenuto e sostengono in tutti i modi la mobilitazione delle donne iraniane, coraggiosamente impegnate in una battaglia per la libertà: non solo contro il velo obbligatorio, ma contro il regime del clero.

Le sostengono doppiamente, perché le sentono vicine nel loro anelito di libertà, e perché sanno che l’Iran è l’architrave del “male” in tutta la regione, e sono ben consapevoli che un Iran democratico sarebbe il successo più grande per Israele ed equivarrebbe anche alla certezza di poter finalmente vivere in pace.

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