La trappola cinese e i flop dell'industria: così l'economia tedesca si è inceppata

L'economia tedesca frena bruscamente dopo anni di crescita. Troppo affidamento su Cina e Russia: e su Berlino cala lo spettro della de-industrializzazione

La trappola cinese e i flop dell'industria: così l'economia tedesca si è inceppata

L'economia tedesca allo sbando. L'Eurozona nel caos. Parole pesanti come macigni quelle della presidente della Bce Christine Lagarde, pronunciate durante l'audizione al Parlamento europeo. Una dichiarazione lapidaria che ha sostanzialmente confermato la necessità di proseguire con la stretta monetaria "per un periodo sufficientemente lungo perchè possa fornire un 'contributo sostanziale al tempestivo ritorno dell'inflazione al nostro obiettivo".

Incendiari gli effetti sulle borse europee: partenza di settimana in salita, dopo un'ottava di ribassi, tenute ancora in scacco dalle inquietudini sulla prospettiva di tassi d'interesse più alti più a lungo del previsto. Come non bastasse, il crollo di Evergrande a Hong Kong, che mette a repentaglio il futuro del mercato immobiliare cinese. La società ha annunciato di non essere in grado di emettere nuovi bond a causa di un'indagine in corso su una delle sue controllate, Hengda Real Estate Group.

L'economia tedesca in crisi: le tre cause principali

Al di là delle sorti avverse, qui e lì negli Stati dell'Unione, è la caduta dall'altare alla polvere di Berlino a gettare scompiglio negli equilibri europei già così precari. Una battuta d'arresto per il miracolo tedesco, che trasformò la Germania da paria d'Europa nel Dopoguerra a locomotiva del continente. Oggi, lo stesso Paese che ha affrontato le colpe del Nazismo, la Ricostruzione, una riunificazione, e tutte le crisi contemporanee, ora registra la peggiore performance tra le economie sviluppate.

Ma come è stato possibile che la principale potenza manifatturiera d'Europa abbia smesso di crescere da un giorno all'altro? Cause e concause sono da cercare più ad est, nel vaso di Pandora che la guerra in Ucraina ha scoperchiato: per una nazione dal potente motore industriale, perdere una risorsa come il gas naturale a basso costo proveniente dalla Russia è stato fatale. Ma anche la frenata della Cina non è estranea alle sorti tedesche: il brusco rallentamento dell'economia di Pechino, dopo anni di corsa senza freni, si è abbattuto sulla crescita tedesca. L'attendismo dell'attuale governo ha fatto il resto: quanto basta a palesare lo spauracchio della de-industrializzaione, con importanti marchi e i loro lavoratori pronti a spostarsi ove la pecunia chiama. L'aumento dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale Europea sta poi significativamente gravando sui progetti dipendenti da prestiti.

Le carenze strutturali dell'economia tedesca

Gli choc degli ultimi due anni hanno fatto emergere alcune tra le principali carenze strutturali del sistema, come lo scarso tasso di digitalizzazione dei processi di governance così come negli affari, oltre un'impreparazione ad un futuro prossimo sempre più indipendente dalle energie fossili. Sulla vicenda principale si incunea, infatti, la transizione verde: tanto che una soluzione delle più dibattute - proposta dai Verdi di Robert Habek - è proprio quella di stabilire un tetto sui prezzi dell'elettricità industriale per far sì che l'economia tedesca affronti agevolmente la transizione energetica. Una proposta che ha incontrato la resistenza di Olaf Scholz.

"L'industria tedesca è in ritardo nella trasformazione" sostiene l'autorevole economista Marcel Stratzscher dalle colonne de Il sole 24 ore: le origini di questa sciagura risiedono per lo più, infatti, nella dipendenza da Pechino e Mosca e nel ritardo nella trasformazione verde. Un modello da disconoscere, dunque? No, sarebbe come gettare via i panni con tutta l'acqua sporca. Il modello tedesco funziona e resta ottimo, ma è l'obsolescenza del suo sistema industriale che rischia di produrre danni: in primis il settore automobilistico che, dopo 15 anni di indiscusso primato, è giunto in ritardo alla corsa dell'elettrico e ha scommesso tutto sulla Cina. Sarebbe, dunque venuto il tempo, come nelle migliori ricette keynesiane, di spendere per far fronte alla crisi: lo stato tedesco deve investire in istruzione, tecnologia, innovazione e infrastrutture. Soprattutto per rispondere a difetti di lungo termine come l'invecchiamento della popolazione, la carenza di manodopera qualificata nonché l'eccesso di burocratizzazione, che ha generato un sistema elefantiaco che ostacola l'avvio di imprese e progetti.

Due crisi a confronto

Non è di certo la prima volta che l'economia tedesca va a sbattere contro i suoi limiti e gli accidenti della storia. In queste ore si sprecano i paragoni con un altro momento complesso per la resa di Berlino, ovvero la fine degli anni Novanta. Alle soglie del nuovo millennio il sistema tedesco sembrava stagnare, schiacciato dagli alti costi della manodopera che bloccarono la competitività di un Paese appena ricucito. Le riforme del lavoro introdotte da Gerhard Schoroeder nel biennio 2003-2004, congiuntamente ai progetti dell'Agenda 2010, puntarono infatti al riposizionamento della Germania nel mercato mondiale. Una serie di riforme impopolari - tra cui tagli a prestazioni e indennità - in conformità all'approccio di liberlizzazione adottato dalla Strategia di Lisbona.

Una serie di interventi sul mercato del lavoro-il "piano Hartz"- seguirono tra il 2003 e il 2005, quando entrò in funzione l'ultima fase, il cosiddetto "Hartz IV". Cambiamenti che hanno ribaltato il funzionamento dei sussidi e dei centri di disoccupazione tedeschi, nonché la stessa natura del mercato del lavoro. Nel maggio 2007, fra alti e bassi, la disoccupazione tedesca toccava il minimo degli ultimi cinque anni e mezzo.

Una riforma ampiamente dibattuta, soprattutto per via degli esiti sociali di lungo periodo, come l'impennata della diseguaglianza sociale nel Paese. Un'afflizione crescente, segnalata da due indicatori fondamentali: la quota salariale del reddito nazionale tendente al ribasso e il progressivo aumento dei tedeschi che vivono sotto la soglia di povertà.

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