La sorpresa che hanno avuto gli utenti texani di uno dei siti di contenuti per adulti più grandi al mondo non è stata delle più gradite. Messo di fronte all’obbligo di verificare l’età dei propri utenti, Pornhub ha preferito bloccare l’accesso alla sua piattaforma nel Lone Star State, protestando contro una misura che, a sentire la compagnia, “violerebbe la libertà di parola garantita dal Primo Emendamento”. Il sito si era già opposto a misure del genere approvate in altri stati americani e, dopo che il 5° distretto della Corte d’Appello Federale ha verificato la validità della norma approvata dal governo texano, ha preferito lasciare all’asciutto i suoi utenti.
Considerato il clima arroventato del dibattito politico negli Stati Uniti, le reazioni sono state diametralmente opposte: se l’Attorney General del Texas Ken Paxton ha definito la decisione della corte una “vittoria sulle compagnie del porno”, molti a sinistra sostengono che misure del genere sarebbero usate per censurare materiale non gradito ai conservatori, da risorse relative all’aborto alla letteratura Lgbt.
La legge della discordia
Lo scorso giugno, il governatore del Texas, il repubblicano Greg Abbott, aveva approvato la legge 1181, che prescrive per le compagnie che offrono “materiale di natura sessuale inadatto ai minori” di verificare se i propri utenti hanno compiuto 18 anni. Il fatto che molti siti, ad esempio specializzati in tabacco o liquori, richiedano agli utenti di inserire la propria data di nascita è abbastanza normale ma in Texas si è andati oltre: per avere accesso a questi siti bisognerà inserire il numero della propria patente o carta d’identità, oppure accedere ad un servizio terzo che usa dati di dominio pubblico (come l’aver completato le scuole superiori) per verificare l’età. La legge 1181 prevedeva anche l’obbligo per i siti per adulti di includere un avvertimento: “la pornografia aumenta la richiesta per la prostituzione, lo sfruttamento dei minori e la pornografia minorile”.
La Corte d’Appello ha però dichiarato questo obbligo illegale, visto che limita in maniera eccessiva la libertà di parola garantita dalla Costituzione. La compagnia proprietaria di Pornhub non era stata l’unica ad essersi schierata contro la legge texana ma nessuna altra è passata dalle parole ai fatti. Secondo il vicepresidente Alex Kekesi, l’obbligo di verificare la maggiore età “non solo non proteggerà i minori ma ridurrà l’abilità dei creatori di contenuti di distribuire materiale per adulti in maniera legale, limitando la possibilità di condividere la loro visione artistica”. Se molti faticano a considerare i video di Pornhub “artistici”, il problema starebbe nel fatto che il metodo di verifica dell’età sarebbe “il meno efficace e più restrittivo”. Il timore di Pornhub sarebbe che obblighi così severi spingerebbero semplicemente gli utenti verso piattaforme ancora meno sicure, aumentando, quindi, i rischi.
Come vanno le cose altrove?
Il caso del Texas non è certo isolato, visto che almeno otto stati dell’Unione hanno introdotto qualche forma di verifica della maggiore età. Questo non è che l’ultimo passaggio in una campagna ad ampio raggio che ha coinvolto 17 parlamenti a maggioranza repubblicana dal 2016, che hanno dichiarato la pornografia “un pericolo per la salute pubblica”. La posizione dell’ala più conservatrice del Partito Repubblicano è chiara: “la pornografia causa dipendenza, danneggia lo sviluppo del cervello dei giovani, aumenta le risposte condizionate e limita le capacità mentali ed emotive”. Queste posizioni, popolari nei circoli evangelici, hanno causato un dibattito nella comunità scientifica: se molti esperti si dicono d’accordo, altri dichiarano che non ci sono prove scientifiche a sostegno e che, alla lunga, questi divieti potrebbero essere controproducenti.
La sostanza non cambia: da giovedì Pornhub ha limitato l’accesso ai propri utenti non solo in Texas ma anche in Virginia, Montana, Carolina del Nord, Arkansas, Utah e Mississippi. La lotta contro la pornografia non è certo una novità, fin dalla storica decisione della Corte Suprema del 1968 che dichiarò legittimo il divieto imposto dallo stato di New York alla vendita di materiale pornografico ai minori di 18 anni. Quando si è trattato di regolare i siti internet, invece, le cose sono state più complicate: nel 1997 la Corte Suprema cancellò una norma che avrebbe limitato l’accesso a questi siti. Il giudice John Paul Stevens disse che “se l’interesse del governo di proteggere i minori da questi contenuti è valido, non giustifica una limitazione così severa del diritto di parola degli adulti”.
Molti temono che fornire la propria identità potrebbe far finire gli utenti in liste governative e che la responsabilità di limitare l’accesso ai siti per adulti spetti ai genitori più che allo stato. Una cosa è certa: queste discussioni dureranno ancora a lungo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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