È stato al suo fianco, nel ruolo di portavoce della sala stampa della Santa Sede, dal primo luglio 2006 (un anno dopo la sua elezione al Soglio pontificio) fino alle sue dimissioni. Padre Federico Lombardi conosceva molto bene Papa Ratzinger. Lo ha accompagnato in tutti i suoi viaggi e ha seguito le udienze che Benedetto XVI concedeva ai capi di Stato e di governo. Dal 2016 è presidente della Fondazione Ratzinger, che ha il compito di diffondere il messaggio teologico e magisteriale del Papa emerito.
Quale è il messaggio che lascia Ratzinger a credenti e non?
Benedetto XVI ha sempre detto che la prima priorità del suo pontificato era anzitutto parlare di Dio in un mondo che sembra dimenticarsi di lui. Non voleva parlare di un Dio qualsiasi, ma del Dio che ci è stato fatto conoscere da Gesù Cristo. Perciò è stato anche molto aperto al dialogo con i cristiani delle diverse confessioni e con i credenti delle diverse religioni. Ma è stato anche un uomo fortemente convinto della capacità e della vocazione della ragione umana a cercare la verità.
Il gesto straordinario delle dimissioni del Pontefice ha lasciato molti fedeli sconcertati. Come ricorda quel giorno?
E’ vero che molti sono rimasti stupiti e disorientati. Da molti secoli non era avvenuto. Ricordo quel giorno con grande emozione, mi rendevo ben conto che era un fatto storico. Ma personalmente non ero stupito, perché lo stesso Benedetto tempo prima aveva parlato e scritto pubblicamente di questa possibilità. Per me era chiaro che una persona così rigorosa, limpida e coerente, se fosse stato il caso, a suo tempo l’avrebbe anche messa in pratica. Per chi lo seguiva da vicino e attentamente, che le sue forze fossero già diminuite e stessero diminuendo era chiaro come il sole, ma quando fosse giunto il momento di giudicarle davvero inadeguate poteva giudicarlo solo lui. Evidentemente quel momento era arrivato.
Perché il discorso di Ratisbona ha sollevato numerose polemiche?
Quel discorso è rimasto molto famoso per le polemiche che ne sono seguite. Non era un discorso sullo scontro fra cristianesimo e islam, ma da diverse parti fu male inteso. Invece era un discorso culturalmente raffinato sul rapporto fra la ragione e la fede e quindi anche sul rifiuto della violenza usata per motivi religiosi, non solo dai musulmani ma anche dai cristiani. Il Papa stesso si è reso poi conto che i suoi discorsi venivano letti più da un punto di vista “politico” che culturale e religioso, e questo poteva richiedere da lui maggiore attenzione ad evitare delle formulazioni che corressero il rischio di semplificazioni, malintesi e strumentalizzazioni, tanto più che vi erano non poche persone che non lo vedevano di buon occhio e quindi erano pronte a cogliere ogni occasione per attaccarlo o suscitare discussioni attorno a lui. Rileggendolo con attenzione e obiettività a distanza di tempo, moltissimi si sono resi conto della profondità e della lungimiranza di quel discorso, e della lucidità e del coraggio con cui aveva messo sul tavolo una delle questioni drammatiche del nostro tempo, come il rapporto tra religione e violenza e il dovere di rifiutare la violenza con la luce della ragione.
Otto anni di pontificato, 21 viaggi internazionali, tre libri, encicliche, esortazioni. Cosa ricorda con maggiore emozione del Pontificato di Benedetto XVI?
Ci sono stati tanti momenti bellissimi. Fra quelli più gioiosi probabilmente vi sono le tre Giornate Mondiali della Gioventù a Colonia, a Sydney e a Madrid, che anche lui ricordava volentieri come grandi esperienze della vitalità della Chiesa e di speranza; o il viaggio in Inghilterra, cominciato con una certa freddezza e varie polemiche e terminato con una vera festa di popolo lungo le strade e l’attenzione rispettosa e ammirata dei rappresentanti dell’intera società inglese nella storica Westminster Hall. Personalmente ciò che mi ha impressionato di più è l’impegno con cui Benedetto XVI si è dedicato - praticamente durante tutto il corso del pontificato – a scrivere la sua opera su Gesù in tre volumi.
Un Papa che ha messo al centro del suo ministero il dialogo fra fede e ragione...
Benedetto XVI ha veramente avuto la vocazione del teologo, cioè dell’intelletto che cerca la fede e della fede che cerca l’intelletto. E’ un uomo che ha avuto una fortissima fiducia nella capacità della ragione umana di cercare e trovare la verità. Parlava di una ragione non “chiusa” nell’orizzonte della materia o di questo mondo solo terreno, ma “aperta”, capace di porsi domande anche sul senso della vita e su Dio.
Ratzinger è stato spesso definito un Papa 'tradizionalista'..
Chi conosce la vita e il pensiero di Ratzinger sa bene che, come tutte le persone profonde e di ampi orizzonti, non ha molto senso classificarle come tradizionaliste o aperturiste. E’ stata una persona di straordinaria intelligenza e allo stesso tempo di profonda sensibilità artistica e spirituale. E’ stato un servitore generoso e completamente dedicato al bene non solo dei credenti, ma dell’umanità del nostro tempo.
Che uomo era Ratzinger?
Persona sempre leale e coraggiosa nell’esprimere le proprie idee e le posizioni che riteneva giusto sostenere per il bene della Chiesa, era allo stesso tempo molto gentile, discreto, non metteva per nulla gli altri a disagio per la sua autorità, a volte dava perfino un’impressione di timidezza; certamente era profondamente umile. Di fronte a Giovanni Paolo II sentivo un certo timore reverenziale, vicino a Benedetto XVI non mi è mai successo. Ratzinger prendeva tutti sul serio.
Sapeva essere scherzoso, come ogni persona molto acuta. Una volta venne informato di un rischio attentati; brandì il bastone che usava quando sentiva di più i dolori artritici, e mi disse: 'Ma io con questo so anche difendermi!'”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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