Difficile, lontana, ad ostacoli. Ma già che si parli di pace e si coinvolga un gigante nel percorso che potrebbe portare al dialogo non può che considerarsi positivo. «L’unica corretta via d’uscita dalla crisi in Ucraina è un accordo politico. Tutte le parti dovrebbero incontrarsi a metà strada per creare le condizioni per un accordo politico», ha detto il presidente cinese Xi Jinping a quello francese Macron al termine dei colloqui tra i due a Pechino. Un passo avanti, anche se è evidente che Pechino debba portare a Mosca queste parole e fare in modo che vengano recepite e messe in pratica.
In fondo era questo l’obiettivo della missione europea in Cina con Macron e von der Leyen come ambasciatori. Se sarà stata fruttuosa, si vedrà.
Intanto, parole e impegni. Xi e Macron dicono che «si oppongono agli attacchi armati contro le centrali nucleari e altri impianti nucleari pacifici» e sostengono l’Agenzia internazionale per l’energia atomica per garantire la sicurezza della centrale di Zaporizhzhia», oltre a esortare le parti in conflitto a «rispettare scrupolosamente» il diritto umanitario internazionale, chiedendo in particolare di proteggere donne e bambini. Anche qui, necessario citofonare Mosca. In caso di intervento fruttuoso da parte della Cina, resta da capire quale potrebbe essere la contropartita. I sospetti, e anche qualcosa di più, portano a Taiwan, centralissima nei pensieri del Dragone. «È il fulcro degli interessi della Cina e Pechino non scenderà ad alcun compromesso», ha detto non a caso Xi Jinping, poche ore dopo l’incontro a Los Angeles tra la presidente dell’isola Tsai Ing-wen e lo speaker della Camera Usa Kevin McCarthy, e l’arrivo di una delegazione Usa a Taipei.
L’attivismo pacifista, più o meno credibile, della Cina, lascia perplessa la Russia con il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov che dice di «aver seguito gli importanti colloqui tra Xi, Macron e Von der Leyen», specificando che «la Cina è una seria e grande potenza che non cambia posizione per le pressioni altrui», per sottolineare quanto non si aspetti bastoni tra le ruote. Nel contempo, il ministro degli Esteri Lavrov, in visita in Turchia, torna a minacciare e si dice pronto ad abbandonare l’accordo per le esportazioni di grano dai porti dell’Ucraina se non saranno allentate le sanzioni alla Russia. Anche a causa di queste, crolla il Rublo: la valuta russa è ai minimi da un anno. Servono 81 rubli per un dollaro, 88,9 per un euro.
Sul campo, prosegue tra proclami e smentite la battaglia di Bakhmut. L’intelligence britannica dice che i russi sono «molto probabilmente avanzati fino al centro della città, prendendo la sponda occidentale del fiume Bakhmutka», grazie alla fine dei contrasti tra l’esercito russo e la brigata ,mercenaria Wagner. Secca la smentita di Kiev: «Stiamo resistendo», con Prigozhin, leader dei Wagner, che conferma: «Le forze ucraine stanno continuando a resistere, potremmo conquistare la città in tre o quattro settimane». Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha convocato, probabilmente anche per questo, una riunione dello Stato maggiore. «Mosca è ansiosa di interrompere la controffensiva ucraina. Ma i russi vedranno i veri piani sul campo. Presto», ha detto il consigliere presidenziale Mikhaylo Podolyak.
Nel frattempo cresce l’apprensione per la sorte del giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich, arrestato nei giorni scorsi in Russia ed ora formalmente incriminato per spionaggio. «Gli inquirenti dell’Fsb hanno accusato Gershkovich di spionaggio nell’interesse del suo Paese. Lui ha negato categoricamente tutte le accuse e ha dichiarato di essere impegnato in attività giornalistiche in Russia», fanno sapere da Mosca. Secondo gli 007 russi, il giornalista «agendo su istruzioni della parte americana, ha raccolto informazioni che costituiscono un segreto di Stato sulle attività di una delle imprese del complesso militare-industriale russo».
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