La presa di distanza dal pensiero «woke» deriva dall'elezione di Trump o invece la gente stufa dell'intellighenzia woke ha rimandato The Donald alla Casa Bianca?
Da alcune settimane è un susseguirsi di annunci shock da parte di personaggi molto in vista e fino ad ora interpreti di quel pensiero «giusto» che vorrebbe anche farsi «unico». Prima Jeff Bezos ha impedito che il suo Washington Post sponsorizzasse Kamala Harris. Poi Mark Zuckerberg ha annunciato che Facebook non applicherà più il fact-checking ai post, accusando l'Europa di «un sempre crescente numero di leggi che istituzionalizzano la censura». Entrambi hanno deciso di abbandonare quei programmi Dei (diversità, equità e inclusione) che da anni ispirano la vita nelle imprese. Infine Larry Fink di Black Rock, il più grande fondo d'investimento che gestisce circa 11.000 miliardi di dollari, prende le distanze dalla finanza green e dall'altro acronimo-guida delle imprese, l'Esg (ambiente, società e governance).
I commentatori più saggi e giusti, quelli in grado di giudicare la validità del pensiero altrui e ove necessario limitarlo, hanno attribuito questi dietrofront al ritorno di Trump con Musk e all'opportunismo di questi big del capitalismo. Gli torna non solo facile ma anche utile dimostrare, già prima del giuramento, quanto gli americani abbiano sbagliato a votare e quanto poco ci si possa fidare dei super-ricchi, che si mostrano incoerenti. La coerenza piace a tutti ma non va bene per tutto. È positiva dentro un sistema, che sia un ordinamento o un semplice ragionamento, perché ne garantisce l'equilibrio. Ma è altrettanto realistico aspettarsi coerenza da un'impresa, che per vocazione risponde alla domanda del mercato a sua volta mutevole per definizione?
Un'altra lettura, più a livello strada e pertanto meno saggia e meno politically correct, suggerisce invece che Trump 2 e queste inversioni di marcia siano entrambi effetti di una diversa sensibilità dell'opinione pubblica. Sicuramente i big hanno fiuto e opportunismo per adeguarsi alle tendenze sociali. Così hanno costruito gli imperi che controllano e, sì, stanno compiacendo la nuova amministrazione,
dando semplicemente risalto a un cambio di strategia che avrebbero adottato comunque.
Ora, senza entrare nel merito di cosa sia giusto e cosa no, nelle società consumistiche liberali due caratteristiche sono certe. La prima è che siamo onnivori: consumiamo tutto, ma proprio tutto. Non solo cibi, scarpe e viaggi, ma anche e soprattutto la merce più diffusa e meno costosa, dunque alla portata di ognuno: le idee. Una volta scoperta, con voluttà la assimiliamo e la facciamo nostra, per esibirla e compiacercene. Ma poi diventa cosa vecchia, ci stufa e siamo pronti a sostituirla con un'altra.
La seconda certezza è che ogni idea più è estrema e seducente e prima stufa, riportando il senso comune verso il centro, verso quella misura che unisce le persone e le fa sentire comunità. Quindi no, Trump è l'effetto non la causa. Quella siamo noi. È la democrazia, bellezza!
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