Un tempo dei giuristi: la via del Codice civile cinese e le vie della seta

Il Codice civile cinese del 2020 costituisce un importante contributo, una via che si incontra e si fa tutt’uno con quelle di Roma e quelle della seta per lo sviluppo di un dialogo che deve crescere

Marco Polo
Marco Polo

È stato scritto che, nei rapporti con la Cina, si potrebbe riconoscere un tempo degli ambasciatori, uno dei pellegrini, dei mercanti, dei missionari, dei navigatori; ci si può chiedere se non sia, quello presente, un ‘tempo dei giuristi’, e se questa qualificazione non possa riferirsi allo straordinario sviluppo in Cina di un tale gruppo professionale. Io non sono un sinologo. Sono uno studioso del diritto romano attento alla dinamica del sistema di questo diritto di cui la codificazione di Giustiniano e dei suoi giuristi è stata una tappa fondamentale che lo ha offerto ai secoli seguenti fino a noi; fino ai codici che usiamo.

Nel 1988 passava da Roma il collega Huang Feng, che era stato a Milano a un Congresso su Beccaria, di cui aveva tradotto e pubblicato a Pechino la famora opera Dei delitti e delle pene. Con lui organizzammo per il seguente febbraio un ‘Incontro di studi’ con il collega Jiang Ping, Rettore della Università della Cina di Scienze Politiche e Giurisprudenza-CUPL di Pechino (Università creata nel 1952 dal Ministero della Giustizia); membro della Commissione permanente dell’ANP e Vice-Presidente della Commissione giuridica di essa; autore di una manuale di Istituzioni di diritto romano, materia che aveva studiato a Mosca, Terza Roma, agli inizi degli anni ’50.

Giustiniano
L'imperatore Giustiniano I

Al CNR, in quell’‘Incontro di studi a cui il Presidente della Repubblica, il professor Francesco Cossiga, aveva inviato un argomentato telegramma di sostegno, Jiang Ping richiamò l’attenzione sul diritto romano come “patrimonio comune dell’umanità”, sulla terminologia giuridica e sui problemi di traduzione di essa e ci accordammo per sviluppare un programma di traduzione di fonti del diritto romano dal latino al cinese, secondo quanto egli richiedeva. Nel quadro del programma. A dicembre arrivò a Roma la prima studiosa e mi portò in omaggio una traduzione in cinese delle Institutiones di Giustiniano compiuta a Pechino (Zhang Qitai, Pechino, 1988). Questo libro confermava l’interesse della cultura giuridica cinese alle fonti romane antiche.

Non è questa la sede in cui posso richiamare ciò che abbiamo realizzato insieme, usando l’italiano e il cinese come lingue di lavoro, ma non esito a porre al primo posto la formazione di oltre 70 dottori di ricerca, ora professori nelle Università cinesi, e le decine di congressi, primo fra i quali quello su “Diritto romano. Diritto cinese. Codificazione del diritto civile”, Pechino 1994 (serie che è giunta al VI Congresso nel 2018, specificatamente attento a: “Un sistema per i codici civili del XXI secolo”) (cfr. S. Schipani, Le vie dei Codici civili, Jovene, Napoli, 2003).

Altrettanto rilevante è stato il fondamento metodologico: voler tradurre dal latino al cinese, come richiesto, era espressione di una impostazione attenta ai termini-concetti, alle categorie ordinanti e alla necessità di comprensione di essi “dal principio” degli stessi e del sistema, di cui la dimensione tempo è, come scrisse il giurista Gaio e fu posto alla base dei codici di Giustiniano e dei suoi giuristi (D. 1,2,1), “parte essenziale di ogni cosa”, fondante e che dà forma a ciò che ne segue; base solo comprendendo pienamente la quale si può aggiornarla, modificarla, arricchirla.

Roma era stata fondata tracciando un solco lungo il quale vennero costruite le mura; il solco e le mura non potevano essere scavalcati, ma il solco veniva interrotto dove venivano aperte le porte. Dalle porte iniziavano le vie che collegavano i romani con il territorio, con altri uomini e con altri popoli e, rispettivamente, lungo le quali giungevano altri uomini e popoli con tutti i quali Roma era aperta alla accoglienza, aveva “molti diritti comuni”.

A Roma erano giunti dalla Cina nel I sec. a.C. anche i fili sottili della seta, ed erano stati molto apprezzati; lungo la loro via, pare che una delegazione romana già nel 284-285 d.C. abbia recato doni all’imperatore Wu. Da allora, lungo le vie della seta tanti furono i fili di una relazione che vennero raccolti e allacciati. Centrale quello della “iustitia” dell’Imperatore della quale il Gran Khan chiese notizie a Marco Polo; quello dell’“amicizia”, secondo il titolo del primo libro in cinese di Matteo Ricci, che a Roma aveva anche iniziato studi di diritto romano, e certo sapeva come l’“amicizia” fosse, per Roma, anche quella con altri popoli che, appunto, diventavano “amici”. Ora, una copia della preziosa riproduzione del Pandectarum Codex Florentinus (2 vol., Firenze, 1988) è conservata nella Biblioteca della Corte Suprema della Cina.

In questo tempo, che il già ricordato collega Jiang Ping ha qualificato del «risorgere dello spirito del diritto romano in Cina», i codici sono un sostegno lungo le vie che percorriamo «comparando tutti» i risultati della tradizione-esperienza anteriore, per cercare insieme, ciò che è «migliore e più produttivo di uguaglianza» per gli uomini, secondo il criterio guida dei codici giustinianei, fondativo di un comune sistema dinamico e aperto. Del Codice civile cinese 2020, subito si coglie che esso regola “i rapporti personali e patrimoniali tra persone” (art. 2), ponendo i primi al primo posto, sulla scia di Institutiones 1,2,12, e dedicando, innovativamente, ai diritti della personalità il centrale Libro 4. Esso pone poi come regole generali, la libera volontà, l’equità e la buona fede (art. 6-8); dedica il primo articolo in materia di cose, alla “conservazione delle risorse e alla protezione dell’ambiente ecologico” (art. 9). E non può non essere notata la sincronia del ruolo ordinante di esso con la “sconfitta della povertà”, annunciata in Cina negli stessi mesi in cui il codice veniva approvato.

Questo nuovo Codice civile cinese costituisce un importante contributo, una via che si incontra e si fa tutt’uno con quelle di Roma e quelle della seta per lo sviluppo di un dialogo che deve crescere.

Sandro Schipani
Professore emerito, “Sapienza” Università di Roma

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