Nuovo capitolo della saga sul rogo del Corano in Svezia. Stavolta però i fatti non si sono svolti, perlomeno non ancora, nel Paese scandinavo, ma in Iraq. Nelle prime ore del mattino a Baghdad un centinaio di manifestanti legati al leader religioso sciita Moqtata Al Sadr ha dato alle fiamme l’ambasciata di Stoccolma per protestare contro l’imminente rogo del testo sacro islamico autorizzato dalla polizia svedese e in programma oggi nella capitale. Nessun membro del personale diplomatico presente nell’edificio è rimasto ferito, mentre l’incendio è stato domato dopo l’intervento delle autopompe. “Siamo al corrente della situazione. Il nostro personale è al sicuro e il ministro è in costante contatto con loro", dichiara in una nota il ministero degli Esteri della Svezia. Durante la manifestazione organizzata oggi in Europa il rifugiato Salwan Momika, lo stesso che il 28 giugno scorso ha bruciato una copia del Corano davanti alla più grande moschea della città, incendierà anche una bandiera irachena.
L'intervento della polizia irachena
L’Iraq ha schierato agenti antisommossa intorno alla sede dell’ambasciata presa di mira prima dell’alba. I poliziotti hanno disperso la folla usando idranti, ingaggiando poi uno scontro con manganelli elettrici e sassi scagliati direttamente dal corteo. Il governo di Baghdad ha aperto un’indagine per risalire agli autori del caos generato per la seconda volta nelle ultime tre settimane: dimostranti riconducibili sempre ad Al Sadr avevano già assaltato l’ambasciata svedese il 29 giugno in risposta al primo rogo del Corano. Una settimana fa Al Sadr ha radunato i suoi fedeli in piazza per sfogare ulteriormente la loro indignazione e la loro rabbia, calpestando e bruciando bandiere arcobaleno del movimento Lgbtq+. I "sadristi" sono gli stessi che nel luglio del 2022 hanno fatto irruzione nel parlamento iracheno per impedire la designazione di Mohamed Shia Al Sudani per la carica di primo ministro.
Allo stesso tempo, il ministero degli Esteri iracheno ha condannato la decisione delle autorità di Stoccolma di permettere quello che per il mondo musulmano non è altro che l’ennesimo oltraggio nei confronti della religione islamica. “Siamo mobilitati oggi per denunciare il rogo del Corano, che parla di amore e fede", ha detto il manifestante Hassan Ahmed a un corrispondente di Afp. "Chiediamo che il governo svedese e il governo iracheno fermino questo tipo di iniziative".
Immediata la replica del capo della diplomazia svedese Tobias Billström, il quale ha pubblicato un breve comunicato su Twitter avvertendo che l'incaricato d'affari dell'Iraq sarà richiamato ufficialmente. "Gli attacchi all'ambasciata svedese in Iraq – si legge – sono assolutamente inaccettabili. È la seconda volta in poco tempo che ciò accade. L'Iraq ha la responsabilità di proteggere l'ambasciata svedese a Baghdad. Il governo convocherà oggi il massimo diplomatico iracheno in Svezia".
Le ripercussioni internazionali
Il rogo del Corano ha svelato però un’altra trama internazionale, ovvero il braccio di ferro diplomatico che coinvolge la Svezia e le altre nazioni musulmane, in particolare la Turchia. Ankara non ha ancora ratificato l’adesione alla Nato, ma nella settimana del summit di Vilnius il presidente Recep Tayyip Erdogan ha annunciato di aver fatto cadere il veto, probabilmente in cambio di importanti forniture militari garantite dagli Stati Uniti, che si impegneranno ad ampliare la flotta di caccia F-16 turchi, e di una stretta introdotta dal governo svedese contro i militanti del Pkk curdo considerati terroristi.
Ad ogni modo, dalla Turchia erano già arrivate bordate nel mese di giugno. "Condanno la vile protesta in Svezia contro il nostro libro sacro nel primo giorno del benedetto Eid al. Adha", ha scritto su Twitter il nuovo ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan. "È inaccettabile permettere proteste anti-Islam in nome della libertà di espressione".
Ancora più dura invece la reazione dell'Iran, il quale ha congelato la nomina del suo prossimo ambasciatore in Svezia proprio a causa del rogo del Corano.
Il regime degli Ayatollah si è spinto oltre, asserendo addirittura che il 37enne Salwan Momika sarebbe un agente sotto copertura del Mossad, i servizi segreti israeliani, dal 2019. L'intelligence militare iraniana ritiene che si sia trattato di uno sforzo comune per distogliere l'attenzione dalle operazioni di Tel Aviv in Palestina, ma nessuna di queste accuse trova riscontro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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