"Non abbiamo più l'accredito militare ed è da più di dieci giorni che non possiamo lavorare". A parlare è Alfredo Bosco che, insieme ad Andrea Sceresini, si trova di fatto bloccato in Ucraina senza poter documentare ciò che sta accadendo nel Paese in guerra. Riavvolgiamo un attimo il nastro e torniamo indietro al giorno in cui tutto è iniziato: il 6 febbraio scorso. Dopo esser tornati da Bakhmut, i due reporter, che in passato hanno realizzato reportage dal Donbass per InsideOver e ilGiornale.it, chiedono al fixer che li accompagna dei nuovi accrediti per poter andare in prima linea. Tutto sembra svolgersi come di prassi ma, dopo qualche ora, il fixer fa sapere loro di non voler collaborare più con loro perché i servizi segreti ucraini, l'Sbu, lo avevano informato che uno dei due (senza specificare chi) era un collaboratore dei russi.
Bosco e Sceresini ricevono due mail dal ministero della Difesa, che li informa che non riceveranno gli accrediti. Anzi, viene loro richiesta una nuova lettera da parte dei loro editori per giustificare la loro presenza in Ucraina. I due reporter fanno quello che viene loro richiesto da Kiev. Poi il silenzio. Cercano più volte di mettersi in contatto con i loro referenti ucraini ma non ottengono alcuna risposta. Finiscono nel dimenticatoio. Sospesi nel limbo. Si chiedono come mai questo cambiamento repentino, dovuto probabilmente a una vecchia lista di proscrizione pubblicata in Ucraina diversi anni fa. Si trattta di un elenco stilato da Mirotvorets e dal “Centro per la ricerca di crimini contro la sicurezza nazionale dell’Ucraina, la pace e la sicurezza dell’umanità” in cui sono presenti i nomi di oltre 4mila giornalisti da tutto il mondo che avevano (e a quanto pare hanno ancora) la colpa di aver raggiunto la repubblica popolare di Donetsk per documentare quello che stava accadendo dall'altra parte della barricata: quella dei separatisti. Si poteva leggere all'epoca sul sito di Mirotvores: "Alla fine del 2015, il cosiddetto ministero della Propaganda dell’organizzazione terroristica Dnr (l’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, ndr) ha creato un database con i nomi dei 7901 giornalisti che si sono accreditati presso di essa. Ora quell’elenco è nelle nostre mani. Non sappiamo quali saranno le conseguenze della sua pubblicazione, ma senza dubbio si tratta di una iniziativa giusta, perché questi giornalisti stanno collaborando con i militanti di una organizzazione terroristica”. E ancora, poco più sotto sempre sullo stesso sito: “Una analisi superficiale della lista ci permette di affermare che alcuni di questi individui che orgogliosamente si definiscono giornalisti sono stati visti con le armi in mano, mentre combattevano contro l’esercito ucraino”. Un'accusa falsa e vigliacca in quanto non corrispondente al vero. Anche perché questa iniziativa, all'epoca era portata avanti dal governatore dell'Oblast di Lugansk, George Tuka, il quale all'epoca si era posto come obiettivo quello di "recensire tutti i terroristi” che “stanno tramando” contro il governo di Kiev.
Ora, qualcuno ha rispolverato quella lista e nel mirino sono finiti anche i due reporter italiani che certamente sono stati nella Dnr, ma è altrettanto vero che hanno raccontato anche ciò che non funzionava. Come le miniere illegali. Oppure hanno descritto con fedeltà alla realtà, ovvero con obiettività, i comandanti separatisti, come Givi, che incontravano.
I due hanno sempre fatto il loro mestiere: raccontare, senza filtri o censure, ciò che vedevano: "Siamo stati arrestati due volte in Donbass", racconta Bosco, che aggiunge: "Il fatto che questa lista, dove veniamo descritti come pericolosi collaboratori dei russi, sia stata ritirata fuori ora e che ci troviamo in un Paese in guerra non ci fa stare affatto sicuri".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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