Dal modello alla Le Corbusier al ghetto-simbolo partenopeo

Quella "casa per tutti" già abbattuta tre volte. E i tanti soldi per riqualificare

Dal modello alla Le Corbusier al ghetto-simbolo partenopeo
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Venti febbraio 2020. Nello stesso giorno in cui i tg annunciano il paziente zero e l'inizio dell'era Covid, vanno in onda, in diretta, le immagini impressionanti del crollo della Vela di Scampia.

L'Italia assiste al tre-due-uno prima dell'esplosione, resta senza fiato di fronte a quel nuvolone di polvere che cresce e sembra avvolgere tutto: degrado, delinquenza, errori, menefreghismo, illegalità. In un attimo la Vela Verde, il quarto palazzone demolito, non c'è più. Un'altra pagina di vergogna edilizia cancellata. Finalmente. Là dentro non tutto è Gomorra. Ma vivere accatastati in pochi metri quadrati fra cemento armato a vista, infiltrazioni, cavi arrugginiti e pianerottoli scrostati non fa bene a nessuno. Tutti nella propria celletta, fra corridoi e ballatoi simil carcere, tutti uguali, da perdersi (tanto che a un certo punto a ogni vela viene assegnato un colore, per orientarsi).

E pensare che il progetto era nato con tutt'altro scopo: avrebbe dovuto essere un'idea sociale alla Le Corbusier, una forma di aggregazione e democrazia. Un po' sullo stile architettonico delle strutture «a cavalletto» proposte dal giapponese Kenzo Tange. Si è invece trasformata nel simbolo della Napoli peggiore, il ghetto della malavita, di armi, droga e baby gang. La «casa per tutti» era un complesso edilizio costruito tra il 1962 e il 1975 su un disegno dell'architetto Francesco Di Salvo. C'era qualcosa di lungimirante in quel progetto, brutto fin da subito ma, almeno per un certo periodo, funzionale: un'area comune, un nucleo di aggregazione con spazi per i bambini e i ritrovi per le famiglie. Ecco, proprio quell'area, cruciale, non fu mai realizzata. Eppure sarebbe stata la chiave vincente. Così come avrebbe aiutato a evitare il degrado anche l'area verde, con parchi e vialetti. Rimasta sulla carta.

Cosa è successo? Innanzitutto il terremoto dell'Irpinia del 1980, che portò molte famiglie, rimaste senzatetto, a occupare anche abusivamente gli alloggi delle Vele. A questo intreccio di eventi negativi si è associata la mancanza totale di presidi dello Stato: il primo commissariato di Polizia fu insediato solo nel 1987, a quindici anni dalla consegna degli alloggi. La situazione ha allontanato sempre di più una parte della popolazione, lasciando il campo libero alla delinquenza. I giardini sono divenuti luogo di raccolta degli spacciatori, i viali sono piste per corse clandestine, gli androni dei palazzi luogo di incontro di ladri e ricettatori.

Tra il 1997 e il 2003 sono state abbattute tre delle sette strutture iniziali, lasciando in piedi le restanti quattro. La decisione di agire su una situazione di forte degrado fu presa sul finire degli anni Ottanta, sostenuta e ventilata dalla popolazione che denunciava le gravi condizioni delle Vele.

La prima a cadere fu la Vela F, demolita con le ruspe nell'agosto 1998, dopo un primo tentativo con esplosivi fallito nel dicembre 1997 (ne cadde solo una parte, lasciando i piani più alti in bilico sulle macerie). La seconda fu la Vela G, poi la H, troppo costosa da riqualificare.

Dei sette edifici (155 ettari) si è deciso di investire sulla Vela B, quella Celeste: 433 nuovi alloggi,

vivibili, urban center, 160 milioni di euro investiti, tra fondi europei e finanziamenti Pnrr. Una parte delle Vele è stata anche riservata alla Facoltà di Medicina. In un tentativo finale di ridare dignità al quartiere.

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