"La Banda della Magliana e Suburra: così racconto la criminalità a Roma"

Mentre esce una nuova serie tratta da Suburra, lo scrittore Giancarlo De Cataldo analizza la trasfigurazione letteraria della criminalità romana: quanto c'è di vero nella serie e in Romanzo Criminale

"La Banda della Magliana e Suburra: così racconto la criminalità a Roma"

Una nuova serie tv tratta dal romanzo Suburra di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo: è disponibile su Netflix Suburraeterna, sequel della serie che prende anch’essa le mosse dal romanzo e racconta, sotto la lente dell’invenzione narrativa, alcune vicende ispirate alla criminalità romana contemporanea (o quasi).

È stato annunciata anche una serie prequel per Romanzo Criminale, un altro libro di De Cataldo, che ha già portato, come Suburra, a un film e una serie tv. Romanzo Criminale si ispira invece alle vicende della Banda della Magliana, l’organizzazione protagonista di innumerevoli reati a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’alba dei ’90.

Finiscono quindi per avere sempre più successo sul piccolo e sul grande schermo, le vicende true crime che vengono trasfigurate dalla letteratura, e che diventano romanzi, o appunto film e serie che alla realtà dei fatti aggiungono un’invenzione autoriale di grande interesse per il pubblico. Ma questa fiction non sempre è stata esente da polemiche. Perché la Banda della Magliana è stata vera, perché alcuni reati che hanno ispirato queste storie sono veri. E terribili. “Ha rappresentato un cambiamento antropologico”, spiega a IlGiornale.it lo scrittore ed ex magistrato De Cataldo.

De Cataldo, c’è una nuova serie tratta da Suburra. Perché, a suo avviso, questa storia, come Romanzo Criminale, ha tanta presa sul pubblico?

“Quando si parla di serie, significa che ha funzionato il racconto fatto prima. Una serie è sì la storia, l’universo, l’immaginario, ma ci sono anche la storia, il regista, la produzione, la ‘confezione’. C’è un nucleo originario che parte dal romanzo, ma poi le serie si allontanano progressivamente in maniera autonoma. Questa formula - che unisce criminalità, politica e sentimento - attira molto il pubblico”.

Su chi sono basati i personaggi di Suburra più amati dal pubblico: Numero Otto (ovvero Cesare/Aureliano Adami) e Spadino?

“In questa nuova serie Numero Otto non c’è, c’è soltanto Spadino. Non sono basati su personaggi reali. Suburra è stata sia nel romanzo, sia nel film e nelle serie un lavoro di ambiente, di ‘profumi e sapori’ di una certa criminalità romana. Ma non ci sono personaggi realmente esistiti riconoscibili come in Romanzo Criminale”.

Suburra e Romanzo Criminale hanno un trait d’union: la Banda della Magliana. Cosa ha rappresentato nella storia criminale italiana, e nello specifico della Capitale?

“A Roma una svolta perché per la prima volta importa un modello di stampo mafioso in una città che aveva conosciuto sì la mafia, ma la mafia siciliana o la ‘ndrangheta calabrese o la camorra. La Banda mise in atto un tentativo di dare a Roma una mafia autoctona e intrecciare rapporti con il cosiddetto lato oscuro dei poteri forti, come i servizi deviati o i settori massonici e così via. È un cambiamento antropologico, perché la Banda della Magliana intercetta la stagione del grande traffico di droga e si propone come soggetto monopolista del traffico stesso su Roma. Ma quel tentativo nasce e muore con la Banda della Magliana”.

In che senso?

“Tutte le mafie successive che abbiamo avuto a Roma e che abbiamo ancora adesso non hanno mai raggiunto quel livello di ferocia, di controllo del territorio e anche di penetrazione nell’immaginario. I membri della Banda, dal loro punto di vista, incrociarono anche la stagione del terrorismo, e quindi le forze dell’ordine erano impegnatissime su quel fronte: per un po’ il fenomeno fu sottovalutato in effetti”.

Quando uscì il film su Romanzo Criminale e successivamente Michele Placido girò Vallanzasca, l’opinione pubblica fu colpita da dilemmi sui ritratti dei cattivi, dipinti come troppo affascinanti. Cosa ne pensa?

“Stavo giusto scrivendo un articolo su House of Cards e Frank Underwood e mi chiedevo perché tutte queste polemiche riguardano i cattivi quando sono cattivi di strada, ma nessuno le pone quando è il presidente degli Stati Uniti o al centro di un grande impero finanziario. Eppure Frank Underwood è quasi più cattivo del Libanese (che potrebbe essere ispirato a Franco Giuseppucci, ndr) o di Vallanzasca. C’è una fortissima forma di ipocrisia. Il male è una parte di noi, quando lo raccontiamo dobbiamo avere la forza per ascoltarlo”.

Teme che l’esigenza di edulcorare propria della tv abbia avuto un impatto sul fenomeno? Nel film l’omicidio di Spadino è molto meno cruento rispetto alla descrizione nel suo libro.

“No. È un problema che mi sento riproporre ciclicamente, ma non mi ha mai sfiorato. Per capire quanto è diversa la serie dal libro: nella serie Spadino è vivo e 'lotta insieme a noi', mentre nel libro muore nelle prime 50 pagine. Quando uno scrittore scrive queste cose non si pone la questione se diverrà un film, e non pensa alla possibile sensibilità degli sceneggiatori o del regista. Scrive quella scena e la regala al suo pubblico, poi si vedrà”.

La polemica è andata via via scemando, ma il male nella realtà viene trovato affascinante da molte persone (per esempio coloro che scrivono a carcerati come Angelo Izzo a Benno Neumair). Perché, secondo lei, avviene?

“Non è un fenomeno ‘nostro’, non è nuovo e non nasce sicuramente con i personaggi che ha citato. Nell’800 c’erano dei processi in cui si andava in processione a vedere i cattivi che venivano sottoposti al procedimento giudiziario. Ripeto: il male è una parte di noi”.

L’anno scorso ha condotto in Rai Cronache criminali. Quale fu il caso per lei più interessante nella trasmissione e perché?

“L’idea è stata quella di prendere i casi come pretesto, se vogliamo, come modo di raccontare un contesto storico, ovvero spiegare: perché quel delitto in quel momento? I casi che hanno riscosso più interesse dal pubblico sono stati quelli di Piero Maso - perché noi ci poniamo naturalmente la domanda su come sia possibile togliere la vita a chi ci ha messo al mondo, e

se sia possibile veramente cambiare, come sostiene di essere cambiato Maso - e del massacro del Circeo, perché coinvolge il tema della violenza sulle donne, che da quel caso in avanti è cambiato nella percezione di tutti”.

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