"Bastava l’antibiotico": come si poteva salvare Andrea Purgatori

Nessun tumore al cervello ma un'endocartite infettiva curabile: è la conclusione dei periti che hanno seguito la vicenda della morte del giornalista Andrea Purgatori. Quali sono stati gli errori dei medici

"Bastava l’antibiotico": come si poteva salvare Andrea Purgatori
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Il giornalista Andrea Purgatori, morto all'età di 70 anni il 19 luglio 2023, si sarebbe potuto salvare vivendo senz'altro più a lungo: è questa la conclusione alla quale sono arrivati i periti che da mesi seguono le indagini. Dopo che l'autopsia aveva confermato che non fosse affetto da metastasi al cervello, la causa del decesso è da attribuire a un'endocardite infettiva assolutamente curabile con un semplice antibiotico.

Il fatale doppio errore

Esattamente un mese fa, era il 7 marzo, altri due medici si erano aggiunti alla lista degli indagati per la morte di Purgatori: oltre al prof. Gianfranco Gualdi e al suo assistente Claudio Di Biasi, ecco la dottoressa Maria Chiara Colaiacomo (del team di Gualdi) e il cardiologo Guido Laudani. Il Corriere della Sera fa sapere che le negligenze che hanno portato alla scomparsa del giornalista sarebbero essenzialmente due: chi lo aveva in cura a Villa Margherita, clinica privata della Capitale, non aveva capito quale fosse la patologia di Purgatori (l'endocardite, infiammazione del rivestimento interno del cuore) che coesisteva con un tumore ai polmoni. Ma soprattutto, comunque, un semplice antibiotico avrebbe evitato la morte quel giorno di luglio.

Le accuse al cardiologo

Negli atti visionati dal quotidiano, il principale imputato resta il cardiologo e medico curante Laudani che avrebbe omesso la patologia di cui soffriva Purgatori che man mano diventava sempre più grave. Nella relazione finale voluta dal ministero Giorgio Orano e firmata da Luigi Marsella e Alessandro Mauriello, c'è scritto che Laudani "ometteva la prescrizione di accertamenti clinici, laboratoristici e strumentali finalizzati alla diagnosi di endocardite infettiva. Tali omissioni risultano a nostro avviso ascrivibili a imperizia e non rispondenti alle buone pratiche cliniche da noi individuate in letteratura". Ricordiamo che i quattro medici sono stati indagati per omicidio colposo.

Il momento cruciale

Secondo la ricostruzione finale, il momento clou si verifica intorno alla metà di giugno quando Purgatori fu ricoverato in ospedale: in quel momento, secondo l'accusa, i medici avrebbero dovuto comprendere appieno l'endocardite infettiva che prima del ricovero non era così chiara da diagnosticare. Il Corriere ricorda che il giornalista fu inutilmente sottoposto a radioterapia per un tumore al cervello (che poi si scopre non esserci) ipotizzato dal prof. Gualdi ma gli fu somministrata, anche questa inutilmente, una terapia anticoaugalente. A quel punto il 70enne inizia a stare sempre peggio: i consulenti del pubblico ministero scrivono che "sulla base dei dati clinici, radiologici e della terapia impostata era opportuno valutare altre ipotesi diagnostiche oltre a quella proposta dalla dottoressa Giallonardo di un’embolia conseguente a una fibrillazione atriale".

Le ipotesi errate

Un'altra ipotesi sbagliata (ma questa di secondaria importanza) riguardava l'eventualità di un'infezione alle urine con le analisi successive che ne smentiranno la presenza. La relazione finale sottolinea come, in quei casi, "sarebbe stato certamente opportuno eseguire un set di emocolture e richiedere una consulenza infettivologica. Gli accertamenti indicati avrebbero potuto intercettare il patogeno responsabile degli eventi febbrili e dell’endocardite infettiva con successiva richiesta di trasferimento in altra struttura". Soltanto in un secondo momento Purgatori fu sottoposto a nuovo esampi del Policlinico Umberto I, con gli esperti a ipotizzare sin da subito un'endocardite batterica era ormai troppo tardi.

A far precipitare la situazione fu, quindi, la cura con radioterapia per metastasi cerebrali (inesistenti) individuate dal professor Gualdi che resero il sistema immunitario di Purgatori sempre più debole e compromesso.

"Ad Andrea sono state diagnosticate e curate con urgenza metastasi cerebrali che al momento della morte si è scoperto non esistere. E questo ha portato a uno sviamento della corretta diagnosi e terapia", conclude l’avvocato della famiglia, Alessandro Gentiloni Silveri.

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