Ana Cristina Duarte è la venticinquesima vittima di femminicidio in Italia dal gennaio di quest'anno: una voce in più, un altro nome su una lista già macabra e sistematicamente piena delle stesse dinamiche, in questo caso però con un asterisco: rispetto ad altre donne, Ana Cristina ha ricevuto aiuto tempestivo dalle forze dell'ordine, tramite l'attivazione del «Codice rosso», che tuttavia non è bastato. Ana Cristina, infatti, era anche madre di tre figli, che invece di essere messi sotto protezione sono stati lasciati col padre, autore della strage. Una falla dunque, un bug di sistema enorme, un'esca
irresistibile per Ana Cristina come per qualsiasi altra madre degna di questo nome: il pensiero dei figli, appunto.
Ora questa storia orrenda, l'ennesima, deve spingere a migliorare una procedura d'emergenza che teoricamente è fra le più avanzate, ma nella pratica non è del tutto efficace, e per alcune ragioni più di altre. La prima: il codice rosso si sviluppa in tre giorni, che in situazioni simili sono troppi, sono un'eternità. La seconda: alla vittima occorre anche assistenza psicologica, perché metterla solo fisicamente al riparo dal maltrattante non sarà risolutivo, perché nove volte su dieci l'abusata tornerà dall'abusatore, come è successo ad Ana Cristina, in grado di rivedere il marito di
nascosto dai carabinieri.
E infine la terza: i figli, qualora presenti, sono soggetti da inserire subito in un programma di tutela, da non sganciare dal riferimento materno ma anzi da legare a questo.Se la violenza è spietata vorrà dire che le contromisure dovranno essere ancora più spietate, ossia coraggiose, lungimiranti e capaci di sventare la tragedia. Limitarla non basta più.
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