La provincia certe volte è come una sconfitta. È l'illusione che si viva a passo d'uomo, guardandosi negli occhi, riconoscendosi. Poi ti accorgi che la provincia è solo una metropoli interrotta. Accadono cose che sembrano innaturali e sono invece il segno di uno spaesamento, l'anomia profonda di un vivere quotidiano che si accartoccia su se stessa, senza prospettive, con la violenza che diventa forma privilegiata di espressione umana. Si diffonde così il sentimento acido che disaggrega ogni comunità: la paura. La paura chiude le porte. Non c'è più il prossimo, ma lo sconosciuto, l'insidia, il pericolo. Tutto questo accade quando la malavita non ha più alcuna preoccupazione a mostrarsi. La piazza è sua. È successo a Frosinone l'altra sera, alle diciannove e trenta, davanti allo Shake Bar di via Aldo Moro, il cuore non solo commerciale della città. Si spara come in un film western, ma non è finzione. Sei colpi di pistola, uno colpisce Kasemi, ventisettenne, e lo ammazza, altri tre finiscono in ospedale. È una faida tra bande rivali. È una storia sbagliata. Non è una storia di amori traditi, come racconta l'unico finora rinchiuso in carcere, Michea Zaka, albanese e incensurato. Il sospetto di chi indaga è che ci sia qualcosa di più, forse droga e prostituzione, e mercati, e quartieri, e territorio. È la zona oscura che la provincia non vede o non vuole vedere, dove tutte le mafie, di ogni nazionalità, autoctone o d'importazione,si mischiano in una grande giostra sommersa. È l'altra economia.
Frosinone non è più quella benestante provincia di un tempo, perché non è abbastanza Sud e non è Nord. È oltretutto troppo vicina a Roma. È una striscia mezzana che va giù, perché le aziende scappano per i costi troppo alti dell'energia e l'indotto sopravvive a stento.
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