Il 25 novembre sarà il giorno della sentenza su Alessandro Impagnatiello, l’assassino di Giulia Tramontano e del bimbo che portava in grembo. Probabilmente verrà condannato all’ergastolo. Il 3 dicembre invece sarà il giorno della sentenza con rito abbreviato su Filippo Turetta, che ha ucciso Giulia Cecchettin a coltellate. È passato un anno dai due atroci femminicidi. Due casi estremi, che hanno pietrificato l’opinione pubblica italiana e sembrava avessero creato una sorta di spartiacque. Come se negli omicidi ci fosse un limite morale da non superare. Qualcosa in quelle due storie ha spinto a scendere in piazza, a dire “Mai più”. E invece.
Un anno dopo
Invece nulla è cambiato. Dopo Giulia e Giulia, c’è stata Aurora, gettata dal balcone dal fidanzatino minorenne. C’è stata Sara, uccisa con le forbici. E ci sono stati altri 80 casi. Solo una piccola parte è diventata una storia di dolore raccontata dalle cronache. Perché lei stava per laurearsi, perché aspettava un bambino, perché aveva scritto sul diario che se lo sentiva. O perché lui ha usato il topicida, aveva la faccia del bravo ragazzino, ha ammazzato davanti ai figli. Le altre storie sono finite nelle statistiche e basta, portando comunque con sé una scia di choc e dolore innaturale.
I numeri
I numeri sono sempre gli stessi, una media di 100 femminicidi l’anno. Lo conferma l’ultimo report del Ministero dell'Interno: 80 donne uccise, di cui 50 per mano del partner o dell'ex. L'Osservatorio di “Non Una di Meno” ne conta ancora di più. Non è facile tenere il conto dei femminicidi in Italia. Non esiste una banca dati istituzionale e pubblica in cui vengono registrati i delitti di genere. Il Ministero dell'Interno produce ogni settimana un report con gli omicidi volontari specificando il sesso delle vittime e la relazione con il presunto colpevole, ma non usa mai la parola femminicidio.
Eppure le denunce e le richieste di aiuto ci sono, nel 2023 sono state il 24% in più dell’anno prima. Solo che non tutte ricevono la risposta giusta. O nei tempi giusti. Oppure non vengono ritenute urgenti come invece si rivelano dopo poco. Per cercare di prevenire il più possibile gli omicidi, o almeno assistere al meglio le richieste di aiuto dopo violenze e aggressioni, è stata corretta la legge Salva vita. Troppe volte infatti gli stalker non rispettano limiti di avvicinamento, si lasciano travolgere da escalation di violenza, arrivano ad uccidere.
La legge salva vita
Gli stalker rischieranno l’arresto in flagranza differita, se contro di loro esistono video o foto che riprendono chiaramente i fatti denunciati. Lo stesso vale per chi viola il divieto di allontanarsi dalla casa familiare o di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Il provvedimento, approvato in Commissione Giustizia dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin, ha avuto l’ok sia alla Camera che al Senato. Le novità puntano al rafforzamento dei reati spia della violenza sulle donne e alla riduzione dei tempi per la valutazione del rischio.
È prevista la priorità nella formazione dei ruoli e nella trattazione dei processi per i reati di maltrattamenti, stupro, stalking, violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima e per la costrizione o induzione al matrimonio, le lesioni personali aggravate, lo sfregio al viso, l’interruzione di gravidanza non consensuale e il revenge porn.
Per maltrattamenti, violenza sessuale e stalking arriva anche una corsia preferenziale per la richiesta e la
decisione delle misure cautelari. Il pm deve valutare entro 30 giorni dall’iscrizione del nominativo dell’indagato nel registro delle notizie di reato, la sussistenza dei presupposti di applicazione delle misure cautelari.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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