"Abbiamo ucciso un bravo ragazzo: chi era Michele Fazio, col sogno di fare il carabiniere

Lella e Pinuccio Fazio girano l'Italia combattendo contro mafia e omertà: nel 2001, il figlio Michele Fazio fu colpito e ucciso durante una vendetta tra clan avversari

Michele Fazio in un montaggio realizzato dai genitori
Michele Fazio in un montaggio realizzato dai genitori

La storia dell’omicidio di Michele Fazio, durante una sparatoria della criminalità organizzata, è una vicenda che fa male anche a decenni di distanza. Una vicenda con un insegnamento: la lotta per la legalità riguarda tutti, l’uomo comune non è qualcosa di scollato, di potenzialmente esente da danni quando si parla di criminalità organizzata. È qualcosa che sanno bene i genitori di questo giovane, che si affacciava alla vita e la cui esistenza, bontà, forza di volontà sono state stroncate da proiettili che non sono certo partiti da soli.

“Michele era sempre solare e sorridente - sono le parole di Lella Fazio a IlGiornale.it - Quando non arrivano a fine mese, lui era ancora un bambino, ma mi diceva: ‘Mamma, non ti preoccupare, ci penso io’. Alla fine della terza media, lui lasciò la scuola, una cosa che non accettai facilmente. Andavo a servizio da alcune famiglie per arrotondare. Così lui trovò un lavoro per aiutarmi. Tutti lo amavano al lavoro. Oggi sto bene economicamente, ma mi manca lui: la felicità è avere i figli accanto, stare bene con loro, dialogare”.

L’omicidio e le condanne

Era una sera d’estate a Bari vecchia, il 12 luglio 2001. Michele Fazio aveva quasi 16 anni: lavorava in un bar per aiutare la famiglia, trascorreva il tempo libero con i coetanei o, d’inverno, era impegnato anche negli studi serali. “Michele era un ragazzo che lavorava la mattina e il pomeriggio andava a scuola - racconta Pinuccio Fazio a IlGiornale.it - Lui aveva un sogno nel cassetto: voleva diventare un carabiniere, perché lavorava in un bar del centro frequentato dalle forze dell’ordine e si sentiva orgoglioso a servir loro il caffè, stimava queste persone. Andava ogni mattina a lasciare il caffè al prefetto Tommaso Blonda e lui lo lasciava accomodare sulla sua poltrona, conoscendo il suo sogno”.

Quella sera Pinuccio Fazio, che lavora per le ferrovie e quindi è spesso lontano dalla Puglia, è a casa, è il suo ultimo giorno di ferie. Ordina le pizze, per mangiarle tutti insieme in famiglia. Ma il figlio Michele quella sera non torna a casa, viene freddato sulla soglia con un proiettile alla nuca, capitando, suo malgrado, nel mezzo di una sparatoria. “Era stato sul lungomare con gli amici - continua Pinuccio Fazio - Prima di uscire mi era venuto a dare un bacio e io gli ho detto: 'Se torni un po’ prima ordino le pizze'. Michele non suonava al citofono, chiamava col telefonino per chiedere che gli fosse aperto il portone. Quella sera c’erano almeno 70 esponenti del clan in cerca di vendetta. Alle 22.40 suonò il telefono di casa e mia figlia, che aveva 13 anni, andò a rispondere: era Michele per dire che sarebbe tornato a momenti. Sentimmo almeno una decina di colpi di pistola. Non avevo mai sentito questi suoni, abbiamo pensato fossero fuochi d’artificio, che a Bari vecchia sono molto diffusi per compleanni e ricorrenze. Ma non erano fuochi d’artificio, erano colpi di pistola. Mia figlia dalla finestra vide Michele da solo, nella piazza deserta, in una pozza di sangue. Non ci credetti subito, ma poi ho iniziato a capire. Ci abbiamo messo una vita per creare una famiglia, dei vigliacchi, degli assassini l’hanno distrutta in una manciata di secondi”.

Quella stessa sera infatti era in atto una vendetta tra clan malavitosi. “C’è chi disse che Michele si era trovato al posto sbagliato al momento sbagliato, ma io pensavo: ‘Un figlio non può neppure tornare a casa dai genitori?’”, aggiunge Lella Fazio. Qualche settimana prima era stato ucciso Francesco Capriati, un omicidio compiuto dal clan rivale Strisciuglio. Un gruppo formato da membri del clan Capriati, in alcuni casi giovanissimi, avevano progettato di uccidere uno qualsiasi degli Strisciuglio. E invece hanno ucciso Michele Fazio, tra l’altro rendendosene conto e pronunciando la frase: “Sim accis o uagnon bun”, abbiamo ucciso un bravo ragazzo.

“Il ragazzino che guidava riconobbe Michele - ricorda Lella Fazio - erano andati a scuola insieme, al calcetto, al catechismo, e Michele gli dava tutto quello che aveva, lo difendeva per via della sua famiglia disagiata. Non disse: ‘Abbiamo ammazzato il ragazzo sbagliato’, ma ‘Abbiamo ammazzato un ragazzo buono’. Michele amava tutti e sapeva perdonare, non accettava discriminazioni”.

Dopo una prima archiviazione del caso, nel 2003, il caso fu riaperto nel 2004 e nel 2005 arrivarono le prime condanne. “Ho provato rabbia - chiarisce Pinuccio Fazio in merito all’archiviazione - Ho chiamato la stampa e con mia moglie abbiamo scatenato un putiferio. Allora le forze dell’ordine sono venute a trovarci, per dirci: ‘Siamo con voi’”. A Francesco Annoscia fu inflitta una pena di 15 anni e 8 mesi di reclusione - che ha già scontato - mentre a Raffaele Capriati di 17 anni. Nel 2016 fu condannato anche chi guidava lo scooter nell’organizzazione dell’agguato, ovvero Michele Portoghese, che sta scontando 7 anni e 6 mesi: all’epoca dei fatti era tra l’altro minorenne, coetaneo della vittima.

La lotta antimafia

“Sono 22 anni che giriamo per l’Italia a raccontare la storia di Michele - dice ancora Pinuccio Fazio - Ogni volta riviviamo quei momenti, ma sappiamo di non doverci fermare. Ognuno può fare la propria parte. All’epoca c’era gente che si era chiusa nell’omertà, e invece le persone hanno poi iniziato a collaborare, ognuno con piccoli gesti”. I genitori di Michele Fazio, come detto, non si sono arresi. Anzi, secondo una parte dell’opinione pubblica, hanno giocato un ruolo fondamentale nel cambiare in meglio il volto di Bari vecchia dal punto di vista della sicurezza.

Da Pinuccio a Lella Fazio, puntualmente, durante questi incontri, arriva l’invito a rifiutare l’omertà. “Il Signore ha preso mio figlio, lo abbiamo accettato - chiosa Lella Fazio - Perché ci aspettava un cammino, e il nostro cammino è questo. Ora il Signore mi dà la forza per andare a parlare con i ragazzi di legalità per dir loro di rifiutare l’omertà. Sono una mamma che dà un consiglio: chi sceglie la mafia non avrà più vita, l’unica strada porta al cimitero. E i mafiosi hanno paura di chi parla. Dobbiamo collaborare con le forze dell’ordine e la magistratura contro la mafia”.

La piece teatrale

Trailer "Stoc Ddo'" - Io sto qua from Mimmo Greco | Filmmaker on Vimeo.

A partire dalla lotta dei genitori di Michele Fazio è nata una piece teatrale, “Stoc ddo - Io sto qua”, che prende il nome da una frase della madre del giovane ucciso. Si tratta di una produzione Meridiani Perduti, di e con Sara Bevilacqua, con la drammaturgia di Osvaldo Capraro. Per il 2023 le date previste per le repliche sono il 18 giugno a Livorno nell’ambito del festival Scenari di Quartiere e l’1 ottobre a Rimini.

“L’opera nasce dalla collaborazione con Capraro - illustra Bevilacqua a IlGiornale.it - Contattò un docente e scrittore barese, Francesco Minervini, che collabora con alcune famiglie che hanno avuto vittime innocenti di mafia in Puglia. Ci ha fatto conoscere Lella e Pinuccio: due persone straordinarie, accoglienti e generose, una famiglia generosa che ha trasformato il dolore in impegno civile”.

L’opera ha superato le 100 repliche in tutta Italia e si chiude sempre con un momento di incontro e riflessione, spesso con Lella e Pinuccio Fazio. “Lella ci ha detto: ‘So che quando io non ci sarò, voi continuerete a far conoscere Michele, farlo vivere ancora’ - conclude Bevilacqua - Per me è un’emozione molto forte, perché la piece parte da una cosa che Lella ha sempre detto, ovvero il desiderio che quando morirà Dio le dia la possibilità di rivedere il figlio.

Abbiamo voluto raccontare questa storia dal punto di vista di Lella, una leonessa che non si è arresa mai, che è andata a bussare alle porte dei mafiosi per conoscere i nomi dei colpevoli, che ha deciso di dire a tutti: ‘Io resto qui’, perché non vuole lasciare Bari vecchia di cui è orgogliosa, un luogo in cui da piccola viveva con le porte aperte. Lella e Pinuccio sono fonti di vita e di speranza”.

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