La scena è ormai arcinota. Peppone, sapendo che don Camillo lo sta ascoltando, comincia a sbraitare contro l'esercito e il Re, che hanno mandato al massacro tanti giovani durante la Prima guerra mondiale: "Reclute! Ascoltate la voce del vostro popolo! Andate nelle caserme perché così vuole la barbara legge nemica dei lavoratori, ma dite chiaro e tondo a coloro che tentano di armarvi per combattere i fratelli proletari del grande paese che voi non combatterete! Dite che voi...".
Don Camillo non ne può più. Sa che Peppone ha combattuto in trincea e che, anche se forse malvolentieri, ha fatto il suo dovere in battaglia. Vorrebbe far qualcosa, ma non sa cosa. All'improvviso il colpo di genio: vede un altoparlante e, quasi senza rendersene conto, fa partire L'inno del Piave. Bastano poche note per risvegliare i veri sentimenti di Peppone che, con una manata, si attacca al microfono: "Dite a coloro che ingannano il popolo, a coloro che diffamano il popolo, che i nostri padri hanno difeso la patria dall'invasore allora e noi siamo pronti oggi a tornare sul Carso e sul Monte Grappa dove abbiamo lasciato la meglio gioventù italiana. Dovunque è Italia dappertutto è Monte Grappa quando il nemico si affaccia ai confini sacri della Patria. Dite ai diffamatori del popolo italiano che, se la patria chiamasse, i vostri padri, ai quali brillano sul petto le medaglie al valore conquistate nelle pietraie insanguinate, giovani e vecchi si ritroveranno fianco a fianco e combatteranno dovunque e contro chiunque nemico, per l'indipendenza d'Italia e al solo scopo inseparabile del Re e della Patria". E poco importa che il re non ci fosse ormai più. Per Peppone, che quella guerra l'aveva vissuta, il 4 novembre era tutto questo. Erano i caduti, il Monte Grappa da difendere ad ogni costo, ma soprattutto era il Piave, il fiume su cui gli italiani, dopo la rovinosa ritirata di Caporetto, ottennero la vittoria che cambiò il corso del conflitto.
Lì si assistette a quello che Mario Silvestri, autore di diversi libri sulla Prima guerra mondiale, definisce un vero e proprio "mistero". I fanti reagirono con forza inaudita. Secondo Aldo Cazzullo, autore de La guerra dei nostri nonni (Mondadori), il motivo è da ricercare nello spirito di quegli uomini preoccupati più per ciò che avevano alle loro spalle - famiglie e affetti - che per ciò che si trovavano davanti: "Non si combatteva più in terra straniera, per conquistare montagne dal nome slavo, il Matajur e il Kuk, per avanzare in campagne dove non si sentiva una parola in italiano, per prendere città italianissime - Trento e Trieste - in cui però nessuno era mai stato. Si combatteva la guerra di casa, per difendere una patria giovane, per impedire che anche alle altre donne venisse fatto quello che stavano subendo le friulane e le venete al di là del Piave e del Grappa. Una guerra che ai nostri nonni, fanti contadini abituati a badare alla terra e alla famiglia, risultava quasi naturale. Se non giusta, inevitabile". Forse i nostri nonni (e bisnonni) non hanno mai letto Gilbert Keith Chesterton, ma di certo hanno messo in pratica i suoi insegnamenti: "Un vero soldato non combatte perché ha davanti a sé qualcosa che odia. Combatte perché ha dietro di sé qualcosa che ama".
Questo fu - ed è ancora oggi - il 4 novembre. Come ci spiega il colonnello Fabrizio Giardini dell'Ufficio storico dell'Esercito italiano: "Non è facile immaginare le indicibili sofferenze di coloro che hanno combattuto, per anni, sulle Alpi o nelle trincee del Carso, lungo l’Isonzo o sul Piave, ma anche in Francia, Albania, Macedonia e Palestina. In questa ricorrenza, è giusto e opportuno ricordarne il sacrificio. Essi combatterono, caddero, o portarono per sempre il segno delle atroci ferite sofferte in battaglia per essere all’altezza di un giuramento prestato all’Italia e agli Italiani". L'Italia non si fece con il Risorgimento, che fu un progetto realizzato da pochi, ma con la Prima guerra mondiale. Fu quell'esperienza, drammatica e devastante, a unire il popolo italiano che, proprio il 4 novembre del 1921, si trovò unito attorno a un figlio comune: il "milite ignoto".
"Il senso ed il valore di questo giuramento - ci spiega il colonnello Giardini - è rimasto immutato nel tempo, per sottolineare e rinnovare il profondo legame che unisce la realtà militare con quella della collettività nazionale". Oggi come ieri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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