“È stato un percorso lungo e difficile con gli assistenti sociali, lo psicologo del nostro comune e le verifiche del tribunale dei minori di Cagliari”. La signora Paola di 50 anni racconta così l’odissea burocratica che l’ha portata dopo circa nove anni a diventare mamma adottiva di tre bambini messicani. “Dopo i primi tre anni io e mio marito abbiamo prorogato la domanda facendo richiesta anche ad altri tribunali d’Italia come Sassari, Roma, Milano e Palermo. Dato che la situazione non si sbloccava – spiega la signora - abbiamo dato disponibilità anche per l’adozione internazionale e con il passare degli anni abbiamo dovuto rinunciare ad adottare dei bambini piccoli”. La legge italiana prevede infatti che le coppie che lo desiderano presentino la domanda di adozione, valida per tre anni, non solo presso il tribunale per i minorenni della propria regione di residenza ma anche presso altre regioni purché abbiamo determinati requisiti.
Non basta essere sposati da almeno tre anni o dimostrare che la propria unione, tra matrimonio e convivenza, ha raggiunto tale durata, ma la differenza di età tra i genitori adottivi e il figlio non può essere inferiore ai 18 anni e superiore ai 45 anni per un coniuge e ai 55 per l’altro. Ogni domanda o proroga deve essere poi accompagnata da vari documenti ed esami che certifichino le buone condizioni psico-fisiche dei coniugi e le loro disponibilità economiche. “L’aspetto più duro è proprio il dover rifare tutte le pratiche da capo anche perché in tribunale dopo un paio di anni cambiano i giudici e la cosa più assurda è che sia richiesto anche il consenso dei propri genitori, ossia dei futuri nonni dei figli adottati”.
E fin qui tra adozione nazionale e internazionale le differenze sono poche. In entrambi i casi le coppie sono messe al vaglio dei servizi sociali per massimo quattro mesi, anche se difficilmente questa tempistica viene rispettata. Solo nel caso di un’adozione internazionale le coppie devono ricevere dal tribunale un decreto di idoneità entro pochi mesi (ma in alcuni casi passa anche circa un anno) e, una volta ottenuto, si devono obbligatoriamente rivolgere a uno degli oltre 60 enti autorizzati a prendere contatti con i Paesi stranieri. Enti che dovrebbero essere sottoposti al controllo da parte della CAI, la Commissione Adozioni internazionali che però, stando all’ultimo rapporto del gruppo CRC (Convention on the Rights of the Child), ha svolto un ruolo inefficace in quanto priva di un vicepresidente proprio nel periodo in cui 108 bambini erano bloccati in Congo.
Anche per la scarsa professionalità di questi enti i tempi si dilatano ma a volte sono l’unico mezzo per giungere all’adozione. Tempi relativamente assai lunghi se si considera che, stando ai numeri dell’ultimo rapporto CAI, una coppia adottiva impiega mediamente 3,3 anni, ma in Paesi come la Russia, da dove proviene il 25% (730) dei bambini adottati nel 2013, si può impiegare soltanto 2,8 anni per portare a termine l’intera pratica.
Oltre agli aspetti burocratici non si possono tralasciare quelli economici perché a seconda del Paese d’origine del bambino cambiano le norme sul numero di incontri con i possibili genitori adottivi. Nel caso specifico i viaggi per il Messico sono stati due: “La prima volta ci siamo rimasti un mese, la seconda volta due mesi spendendo tra viaggi, alloggi e avvocati tra i 25 e i 30 mila euro”. Soldi che per metà si possono detrarre col 730 ma “lo Stato prevedeva anche un rimborso spese per le coppie adottive che, però, è fermo dal 2011 e noi stiamo aspettando che il governo si decida a finanziare il rimborso degli ultimi due anni” denuncia la mamma dei tre bimbi messicani.
Senza alcuna spesa e con un iter più tranquillo dal punto di visto burocratico è stata l’esperienza della signora Giuliana che 15 anni fa ha portato a termine un’adozione nazionale ma anche in questo caso la pratica si è chiusa in due anni e mezzo. “Fabio – racconta la madre adottiva - è nato in un ospedale vicino Monza ma non è stato riconosciuto alla nascita e quindi, una volta passati i giorni in cui la madre biologica può cambiare idea, è partito subito l’iter per l’adozione. Quando l’ho incontrato per la prima volta aveva solo 23 giorni”.
Nel caso di adozione nazionale, la legge, infatti, distingue tra i casi a basso rischio giuridico come quello di Fabio e i casi ad alto rischio dove, invece, la famiglia d’origine può rivendicare la potestà sul bambino e perciò il minore viene dato alla coppia in collocamento provvisorio fino alla sentenza definitiva. Sono invece circa 400 all’anno i casi di bambini abbandonati alla nascita e la signora Giuliana e il marito non erano affatto preparati all’ipotesi: “C’erano 25 coppie disponibili all’adozione e il giudice dei tribunali dei minori, insieme agli assistenti sociali, ha valutato la compatibilità tra il bambino e i possibili genitori attraverso una serie di incontri con le coppie che sembravano più idonee”. La legge italiana, infatti, non stabilisce che il tribunale rilasci un decreto di idoneità come nel caso delle adozioni internazionali ma come spiega la signora Giuliana: “Per le adozioni nazionali può convocarti senza dire che dietro c’è un bambino o che storia ha ma semplicemente per confermare quanto scritto nella relazione già in suo possesso”. La coppia è stata soggetta a varie visite da parte degli assistenti sociali anche durante tutto l’anno preadottivo, ma sfortunatamente questo sostegno viene a mancare una volta che l’adozione viene portata a termine.
A denunciarlo è ancora una volta il gruppo CRC che segnala scarsità di risorse e ritardi da parte dei servizi sociali che spesso non rispettano il limite dei 4 mesi e spariscono nel periodo post-adottivo, quando sarebbe necessario un sostegno anche nella fase adolescenziale del figlio adottato. A spezzare una lancia a favore del mondo delle adozioni è Ivana Lazzarini, presidente dell’Associazione Italia adozioni, mamma che ha portato a termine sia un’adozione nazionale sia un’internazionale: “È vero, la tendenza al calo delle adozioni è comune a tutti i Paesi ed è dovuta, non solo alla crisi economica, ma anche al maggior ricorso alla fecondazione assistita in Italia e all’estero, ma noi siamo oggi il secondo Paese più accogliente al mondo dopo gli Stati Uniti”. I dati divulgati dalla CAI nel 2013 evidenziano proprio un calo delle coppie adottive del 7,2% rispetto al 2012 che comunque risulta essere inferiore al -21,7% dell’anno prima. In termini assoluti si tratta di 2.825 minori stranieri provenienti da ben 56 Paesi diversi a fronte dei 3.106 dell’anno precedente. “Gli elevati costi e i tempi lunghi delle adozioni internazionali dipendono molto anche dalla situazione economica e geopolitica del Paese d’origine del bambino. Nel mio caso, ad esempio, i tempi si sono allungati, perché non c’era trasparenza nei costi locali da sostenere e l’ente al quale ci eravamo rivolti decise di chiudere il canale delle adozioni internazionali con quel Paese. Io e mio marito fummo “dirottati” dall’ente verso un altro Paese e ricominciammo da capo”, spiega la Lazzarini.
Sul versante dell’adozione nazionale la legge italiana, inoltre, prevede che i tribunali per i minori si dotino della BDA (banca dati nazionale di minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione) che censisca, registri e consenta un abbinamento più veloce tra i bambini adottabili con i potenziali genitori adottivi ma non è ancora stata pienamente attivata. “Al momento – conclude Lazzarini - l’ultimo dato disponibile del luglio 2013, divulgato da Caterina Chinnici, Capo del Dipartimento della Giustizia Minorile, dice che i bambini adottabili in Italia sono 1491, ma non è aggiornato e manca ancora il lavoro sinergico tra i tribunali.
Invito pertanto gli addetti ai lavori a prodigarsi perché in Italia non ci siano più bambini che crescono senza la mamma e il papà”. E se magari poi ciò avvenisse senza aspettare tempi biblici e senza dover fronteggiare problemi burocratici, sarebbe ancora meglio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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