Agnese, figlia di Aldo Moro: "Per mio padre, al primo posto gli italiani"

Ridare giustizia alla figura di Aldo Moro: questo l'intento di Agnese. Che ha incontrato gli studenti per un convegno sulla memoria dei padri

Agnese, figlia di Aldo Moro: "Per mio padre, al primo posto gli italiani"

Agnese Moro torna questa mattina a parlare della figura del padre, lo statista Aldo Moro, incontrando gli studenti del liceo "Leonardo da Vinci" nella città che diede i natali all'ex capo di governo, Maglie.

E lo fa partendo da una foto tenera, che ritrae Aldo Moro accanto a una renna in Lapponia, quando era ministro degli Esteri. L'intento del suo intervento, inserito in un incontro chiamato "La memoria dei padri" è di restituire giustizia a quella memoria, perché quando accade un fatto eclatante come un sequestro e un omicidio di stampo terroristico - come quello avvenuto a Moro per mano delle Brigate Rosse nel 1978 - sembra quasi che nell'immaginario collettivo resti soltanto quello, non ciò che Moro era come insegnante, come statista e, nel caso di Agnese Moro, come padre.

Eppure la Prima Repubblica, gli Anni di Piombo, il terrorismo, la Democrazia Cristiana sono elementi che ci hanno condotti dove siamo oggi in Italia e non possiamo prescindere da questi elementi.

Agnese Moro, qual è l'insegnamento più importante di suo padre Aldo?

«Forse quello di cercare di vedere delle cose buone anche in mezzo a ciò che è più negativo.»

Come ricorda i giorni della prigionia per mano delle Brigate Rosse e poi il terribile annuncio del ritrovamento della R4 rossa?

«Furono giorni di grande angoscia, di grande ansia, giorni molto complicati per tutto quello che attorno a questo rapimento si è poi giocato, le posizioni della politica, gli intellettuali, le Brigate Rosse... giorni davvero molto difficili.»

È stato scritto tantissimo sul sequestro Moro, ci sono anche varie teorie del complotto. Ma qual è il punto che resta più oscuro nella vicenda?

«Per me, il punto più oscuro di tutta la vicenda è la solitudine che mio padre ha vissuto in quei 55 giorni. Credo che su questo varrebbe davvero la pena di fare una riflessione, perché è qualcosa che non riguarda soltanto ieri, ma anche oggi e quello che siamo come Paese e che dovremmo cercare di non essere mai più.»

Qual è la qualità o l'atteggiamento politico di suo padre che gioverebbe all'Italia oggi?

«Il fatto di mettere al primo posto la vita concreta delle persone, degli italiani, quelle che sono le loro esigenze e soprattutto il fatto che per lui non c'erano governanti e sudditi, ci sono persone che insieme cercano di governare questo Paese.»

Gli anni del terrorismo sono ormai sui libri di di Storia, ma spesso i filosofi ci hanno insegnato che la storia è fatta di corsi e ricorsi. Un periodo orribile come gli Anni di Piombo potrebbe tornare in Italia?

«Potrebbe accadere. Tecnicamente è sempre possibile, perché nel nostro Paese non è stato sradicato il germe della violenza. Per quanto vogliamo descriverci come un Paese mite, brava gente, eccetera - e lo siamo pure - ma siamo anche un Paese in cui la violenza ha un profondo radicamento. Pensiamo alla criminalità organizzata, che non possiamo ignorare, fa parte di noi, non è un altro Paese, siamo noi, o ancora pensiamo alla violenza contro le donne... L'idea stessa che ci possano essere dei problemi che vengono affrontati con la violenza è un'idea che ancora esiste.

Quando noi diciamo che una crisi internazionale si deve risolvere mandando degli eserciti, stiamo dicendo che ancora la violenza ha la possibilità di risolvere un problema. Finché la violenza non viene eliminata, c'è sempre la possibilità che torni a esprimersi nel linguaggio del terrorismo.»

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