Alfano, questo è troppo

Il commissariato di Ventimiglia allo sbando tra profughi e degrado

Alfano, questo è troppo

Caro ministro Alfano,

i rapporti tra lei e questo quotidiano non sono mai stati troppo cordiali, ma, per una volta, ci ascolti. Questa lettera non è un tentativo di fare polemica. È un invito o, se vuole, una preghiera. Non sappiamo da quanto tempo non le capita di andare a Ventimiglia, città di confine, città di frontiera, ormai in tutti i sensi, non solo geografico. Ventimiglia è una delle porte girevoli dell'Italia. È flusso, è immigrazione, è gente che fugge e che arriva con la speranza di trovare qualcosa che probabilmente non c'è. Ventimiglia è il fronte dell'emergenza, fronte nord-occidentale. Qui c'è la stazione di polizia che è una sorta di avamposto in mezzo al caos (leggi qui). Vada a visitarla. Veda in che condizioni sono costretti a lavorare i nostri poliziotti.

Le foto che pubblichiamo sono una vergogna, non per perbenismo, ma per dignità. Gli immigrati vengono ospitati, per umanità, in un commissariato che assomiglia a una casa abbandonata, con lavandini vecchi e malandati e un senso di precarietà. Non è certo colpa dei poliziotti. Fanno quello che possono e di sicuro non sono contenti e orgogliosi delle condizioni in cui si ritrovano a lavorare. Questa stazione è l'immagine dello Stato. È il suo volto e dice molto della situazione sociale e politica che stiamo vivendo. È un volto in disfacimento. È la fotografia di un'Italia che si sta lasciando andare e che non ce la fa neppure ad aiutare gli altri. Il ruolo della polizia è quello di dare sicurezza, ma come può farlo se la sua casa sembra un alloggio di fortuna?

Lo Stato straccione e spendaccione finisce per tradire, in questo modo, definitivamente il patto con i cittadini. Noi paghiamo le tasse in cambio di sicurezza, di servizi, di strade, di una politica in grado di pensare e vedere un futuro. In queste foto non c'è nulla di tutto questo, tranne il riflesso di un futuro sempre più triste e ramingo. Questo davvero è il simbolo della debolezza di un intero Paese, che stenta a riconoscersi. Quello che però ci sentiamo di chiederle è di prendere il treno per Ventimiglia ed entrare nella stazione di polizia. Se anche lei, come noi, proverà sgomento, siamo sicuri che, in qualità di ministro degli Interni, farà subito qualcosa. Non un palliativo.

Non una semplice mano di vernice, ma qualcosa di concreto che dimostri che lo Stato, oltre agli immigrati, sa rispettare anche i propri cittadini e i propri poliziotti. Perché Ventimiglia, caro ministro, è il nostro volto. È quello che siamo diventati.

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