Alla ricerca del gas perduto. È una sorta di corsa contro il tempo, prima che arrivi l'inverno. Un tentativo collettivo che vede i vertici istituzionali del Paese impegnati a procacciare i rifornimenti necessari per sostituire il gas russo. La situazione è seria: la guerra in Ucraina non avrà tempi brevi, Vladimir Putin ha sempre più intenzione di usare l'energia come arma di pressione verso l'Europa e il prezzo del gas sale, sale, sale trasformandosi in un moltiplicatore d'inflazione. Per cui Sergio Mattarella è volato in Mozambico, Elisabetta Casellati in Algeria e Mario Draghi, dopo aver dato del dittatore al presidente turco Erdogan, si è dovuto rimangiare per realpolitik tutto ed è corso da lui portandosi dietro mezzo governo. Addirittura per l'ansia da gas sia il capo dello Stato, sia il presidente del Senato che ne dovrebbe fare le veci, sono andati contemporaneamente, fatto inusuale, all'estero (la Casellati comunque è tornata ieri sera).
La verità è che sotto sotto serpeggia paura. Anche questo è un pezzo della guerra. Se Mosca piange, Roma e Berlino non ridono. Ovviamente, si arrabattano come possono per continuare a garantire la solidarietà (non solo a parole ma nei fatti) a Kiev. Solo che sia l'Italia, sia la Germania dovrebbero a loro volta ricevere solidarietà dall'Europa. Sono loro, cioè i principali Paesi manifatturieri dell'Unione, a pagare più di altri la chiusura del gasdotto con Mosca, sono loro ad essere i più esposti ai giochetti dello Zar con il rubinetto. Da questo orecchio, però, l'Europa non ci sente o ci sente poco: l'ipotesi di un tetto europeo al prezzo del gas, tanto caldeggiata da Draghi, è scritta sull'agenda, ma per ora resta un mero desiderio. Eppure l'Unione su questo tema dovrebbe comportarsi esattamente come fece con il Covid: valutare quali sono i Paesi che per la loro struttura produttiva rischiano di più nella guerra economica con Mosca e provvedere. E, invece, almeno su questo punto l'Europa non si muove mentre le singole nazioni si acconciano ai loro calcoli e ai loro interessi.
Motivo per cui l'Italia deve giocare la partita da sola. Per non restare indietro, deve promuovere una grande operazione diplomatica. Era da tanto che non avevamo nello stesso giorno tanti abitanti del Palazzo in giro per il mondo. Tutto questo movimento speriamo che porti risultati. Per ora siamo riusciti a strappare alla Spagna il ruolo di partner privilegiato per l'energia con l'Algeria. E il pragmatismo del premier ci aiuterà anche con Erdogan. L'«ansia da gas», questa condizione di timore, però, dovrebbe farci riflettere per il futuro. L'energia è un tema centrale nella vita di un Paese, ne condiziona l'economia ma anche la sicurezza. Ecco perché certe decisioni non possono essere prese, come accaduto in passato, su un dato emozionale o ideologico. Abbiamo detto «no» al nucleare tanti anni fa, ieri la Commissione Ue ha dato il suo assenso alla costruzione delle piccole centrali a fusione, non interviene nelle decisioni dei singoli Stati ma le inserisce tra i possibili strumenti dell'economia green.
Tanti «no», da quello sull'atomo a quello contro le trivelle e i gasdotti, ci hanno messo ai piedi di Putin e ci hanno costretto a tornare indietro al secolo scorso obbligandoci ad utilizzare il carbone. Ora che abbiamo capito l'antifona, cominciamo a comportarci di conseguenza. Con logica e realismo. Almeno per una volta.
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