Antisemitismo, oggi ricordare non basta più

Buona Giornata della Memoria: never again, mai più, si dice

Antisemitismo, oggi ricordare non basta più

Buona Giornata della Memoria: never again, mai più, si dice. Invece il rapporto sull'antisemitismo pubblicato dall'Agenzia Ebraica e dall'Organizzazione Sionista Mondiale ci informa che l'anno passato è stato il più antisemita degli ultimi dieci. Certo, questo non ci potrà distrarre dal concentrarci con dolore, amore e devozione sul destino dei nostri cari uccisi, torturati, deportati. Tutti ripetiamo in loro ricordo: mai più antisemitismo. Invece le violenze fisiche contro gli ebrei occupano un terzo degli incidenti: almeno dieci al giorno, e il resto sono danni, dissacrazioni, vandalismi, minacce, stelle di David strappate dal collo, kippà che volano... Secondo l'ADL, la tempesta on line è senza precedenti: solo «Hitler was right» è stato postato 17mila volte in una settimana a maggio. Le promesse di sterminio del popolo ebraico sono pane quotidiano; una collaboratrice della CNN ha twittato che «il mondo d'oggi ha bisogno di Hitler», e in molti le fanno eco nelle manifestazioni di odio per Israele. Templi, istituzioni, ristoranti, negozi vengono attaccati. Un terzo di questi incidenti avviene in Europa. Il resto in America e nel mondo: è un accerchiamento di destra, di sinistra e mondo islamico e, quel che è peggio, l'odio ha un'eco conformista nell'informazione e nelle istituzioni. Chiariamo: non è che da Israele l'odio si allarga a tutti gli ebrei. È esattamente il contrario, l'odio per tutti gli ebrei produce l'odio verso Israele.

Politici, attori, musicisti, pop star non si peritano di usare accuse infamanti e aderiscono al boicottaggio; le manifestazioni usano (a Londra, a Berlino, a Bruxelles) repellenti pupazzi con nasi a uncino, sacchi di dollari, mitra dell'esercito. Le autorità non intervengono più. Ed ecco anzi, con incredibile gesto persecutorio, la commissione per i diritti umani dell'ONU mette in piedi ad hoc, con un budget miliardario e 29 nuovi assunti, una commissione permanente solo «per sorvegliare le eventuali sospette violazioni dei diritti umani da parte di Israele». Non della Siria, non dell'Iran, non della Cina... È proprio il doppio standard il segnale più atroce di antisemitismo, e il mondo annuisce. Human rights, non diritto alla difesa quando ti cascano in testa 4500 missili senza ragione.

Ribolle l'odio quando l'eccitazione contro Israele si esalta, si sfasciano negozi a Los Angeles e a New York: l'antico blood libel si trasforma in un'accusa del sangue, gli ebrei amano uccidere i bambini. L'accusa di voler dominare il mondo si trasforma in quella di «ethnic cleansing» e colonialismo, una narrativa malefica distorce episodi come quelli del quartiere di Sheich Jarra a Gerusalemme, in cui giornalisti in caduta libera ignorano la storia, le norme urbanistiche applicate parimenti a ebrei e a arabi, la benevolenza verso gli arabi della Corte Suprema chiamata a legiferare. L'antisemitismo odierno è travestito da movimenti antiapartheid, antirazzista, anti coloniale. I no vax travestiti da prigionieri dei lager suggeriscono che la Shoah la soffrono loro mentre gli ebrei diffondono il Covid e ci lucrano sopra.

Tutti gli studi sulla crudeltà tedesca di massa che condusse al genocidio degli Ebrei concordano sull'importanza assoluta della mitologia di incitamento. Gli ebrei furono indicati alle masse come insetti e come belve, come capitalisti sfruttatori e come comunisti traditori, parassiti, disumani, dediti all'idea di «sterminare» i tedeschi (lo disse Hitler) proprio come oggi si dice che vogliono «sterminare i palestinesi». I tedeschi li chiamarono «responsabili di atrocità», «una piaga mortale» (come l'Iran definisce Israele)... Oggi, gli ebrei, come Israele, sono anche colonialisti, razzisti... non c'è vergogna nel riprendere, traslitterate, le stesse accuse che hanno costruito lo sfondo della Shoah. Il desiderio di calare un pietoso velo su parte dell'islam non copre gli incitamenti religiosi all'odio antiebraico.

Col cuore pieno del ricordo e delle sofferenze dei nostri zii, nonni, non possiamo permetterci un puro giorno di raccoglimento. La lotta è necessaria subito, oggi, per poter dire «Mai più». Come ben spiegato, fra l'altro, in War on hate da Henry Kopel, non dovevi essere affatto un nazista accanito per partecipare alle stragi di ebrei innocenti, compresi i bambini (38mila uccisi all'impronta in un anno, 45mila rastrellati e avviati ai campi di sterminio nel campione preso in esame), eri semplicemente «un tedesco ordinario, senza nessuna propensione speciale alla violenza»; se eri un leader avevi da «medio ad alto livello intellettuale, privo di patologie». L'incitamento fu il tappeto volante verso la strage e basta, come accade per ogni sterminio, per ogni terrorista.

Nel libro Mai più! (Sonda edizioni) Ugo Volli ci dice che «mai più!» è l'unico tratto in comune ai tanti documenti che istituiscono l'odierna ricorrenza. Eppure, uccidere tutti gli ebrei è un incitamento fantasiosamente declinato, oggi, senza impedimento: per l'Iran è il compito statale più importante, sancito per legge, perseguito con la guerra e la costruzione della bomba atomica; per Hamas e per gli Hezbollah è un dovere religioso; per l'idiota parafascista antivax che accusa gli ebrei di lucrare sul Covid e quindi di diffonderlo ad arte, è una forma di isterismo basato sulla cultura binaria in cui lui rappresenta il bene mentre il male lo cinge d'assedio; per quelli che accusano Israele di apartheid e di suprematismo bianco, per i movimenti woke per i diritti umani che nei rally picchiano gli ebrei e gridano «kill the jews, fuck their daughters» è una forma di giustizia sociale, in difesa dei palestinesi.

L'elaborazione della Shoah ha preso moltissimi anni, il processo di Norimberga del 1946 e poi quello ad Eichmann nel '61 sono stati offuscati dall'incredulità che la cultura europea avesse potuto partorire tanto male. Volli lo scrive bene. La lettura del «male assoluto» piuttosto che quella della «banalità del male», il nascondersi dietro la «follia» o la «perversione» o la «paranoia» di Hitler e compagnia, il rifiuto di vedere che furono larghe masse di normalissimi tedeschi che, pur amando Mozart e i loro cani, uccisero i bambini ebrei, spingono a cullarsi nei buoni sentimenti: non ricapiterà. Ma è già ricapitato molte volte, anche se in forma minore. Nota Volli che molti dei documenti istitutivi del Giorno della Memoria sono riduttivi, quello tedesco non scrive la parola «ebrei» e quello del Consiglio d'Europa denomina la Shoah «crimine paradigmatico» dei crimini contro l'umanità. Nessuno osa colpevolizzare i tedeschi, quasi tutti scrivono «nazisti», l'Unione Europea parla di attacco generale a gruppi minoritari, di razzismo, xenofobia... nessuno ricorda che bisogna combattere l'antisemitismo, sì proprio lui! Quello antico, quello moderno... e si disegna la tendenza fondamentale del Giorno della Memoria all'entusiasmo umanitario, che consiglia chiunque si impegni nelle celebrazioni, a mescolare tutte le discriminazioni e imboccare il terreno più facile della mistificazione della Shoah, quella della sua omologazione. Certo, secondo Henry Kopel dal '52 al 2001 si contano 37 genocidi in tutti gli angoli del mondo, dalla Cambogia ai Balcani, dagli Uiguri ai Curdi, e naturalmente ogni sofferenza umana è identica, niente differenzia un bambino ebreo ucciso dai tedeschi da un bambino armeno ucciso dai turchi. E tuttavia, evitare di omologare e banalizzare, è indispensabile, pena il rafforzamento dell'antisemitismo. Lo sterminio degli ebrei pianificato industrialmente sin dall'incontro di Wansee, fu voluto, come disse Bush senior, «da uomini che si ritenevano intellettuali». È unico per il numero pazzesco delle vittime; perché Hitler programmava di cancellare gli ebrei dalla faccia della terra, senza confini territoriali; perché non era un mezzo, ma lo scopo primo della guerra nazista: anche quando perdeva, il Führer utilizzò i treni per le deportazioni degli ebrei e non per rifornire i suoi soldati. Unico, perché si dedicò all'omicidio di massa invece di utilizzare i deportati come schiavi.

Se è evidente che ogni sofferenza è identica, che ogni bambino e ogni deportato, ogni civile ucciso è un mondo intero e ciascuno deve impegnarsi a combattere in favore delle vittime, tuttavia il Giorno della Memoria ha mille buone ragioni per restare oggi una giornata di guerra all'antisemitismo, contro il tentativo in atto di distruggere il popolo ebraico. Se la Shoah è merce comune, i palestinesi ne diventano le nuove vittime così da rendere gli ebrei i nuovi nazisti. Il grande storico Robert Wistrich spiegò molto bene questa diabolica sequenza, che con le accuse di apartheid, di pulizia etnica, di razzismo, è diventato il leit motiv dell'antisemitismo contemporaneo, della «nazificazione» di Israele e del popolo ebraico.

È difficile, doloroso, riconoscere che viviamo un presente in cui gli ebrei vengono accusati di colpe delegittimanti, per cui, come per l'apartheid, è prevista la condanna a morte. È un'accusa folle, come tutte quelle degli antisemiti: ma gli ebrei nel mondo vengono etichettati, picchiati, con questa scusa, come nel passato con altre scuse. Lo stupore e l'incredulità per il ritorno dell'antisemitismo omicida dopo la Shoah è un grave impedimento a realizzare il never again.

Se si pensa che non si è voluto classificare come antisemita un attacco armato alla sinagoga di Colleyville sabato scorso, in cui il terrorista chiedeva di liberare una notissima antisemita dell'Isis; che Ilan Halimi, ucciso lentamente a Parigi dopo essere stato rapito da una banda che lo torturava leggendo il Corano, non fu cercato nel momento e nel posto giusto per il rifiuto delle autorità a vedere nella volontà omicida antiebraica un pericolo contemporaneo, si capisce che più che ricordare il male, ancora bisogna combatterlo. Per favore, non dite never again se l'Iran può ancora promettere di distruggere Israele senza che l'Europa esca dalla stanza dei colloqui a Vienna.

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