Applausi e poi oblio. I medici lasciati soli

Medici e infermieri si preparano di nuovo a scendere in trincea. Ma sono sempre gli stessi, usciti stremati dalla prima ondata dell'epidemia. Ora sanno che cosa li aspetta e sono stanchi e preoccupati

Applausi e poi oblio. I medici lasciati soli

Medici e infermieri si preparano di nuovo a scendere in trincea. Ma sono sempre gli stessi, usciti stremati dalla prima ondata dell'epidemia. Ora sanno che cosa li aspetta e sono stanchi e preoccupati. Appena due giorni fa la notizia di due medici morti per Covid-19. Uno era medico di base a Napoli, Ernesto Celentano, contagiato da un paziente. I camici bianchi deceduti per un legame con Sars Cov2 sono saliti così a 181. Una perdita che ha riportato alla memoria le settimane tragiche della prima fase della pandemia. «Credo che la morte di Celentano rappresenti uno spartiacque e ci faccia ripiombare nei tristi giorni di marzo», aveva commentato il presidente degli ordini dei medici Fnomceo, Filippo Anelli che teme «queste morti segnino l'inizio di una nuova fase». Ma questa volta però, avverte Anelli ricordando i colleghi scomparsi «mai più vogliamo che l'eroismo si traduca in un martirio ingiustificato: non è etico né degno di un paese civile».

E se è vero che grazie all'esperienza acquisita nel fronteggiare la prima ondata il Covid-19 è un nemico che si conosce di più è pure vero che ora gli operatori sanitari sanno quello che li aspetta con il rialzo della curva epidemica: turni massacranti senza riposo e la necessità di operare con protezioni pesanti. La conseguenza peggiore per molti però nella prima fase dell'epidemia è stata un'altra: il distacco dai propri cari che molti si sono imposti per timore di contagiare figli e genitori. Per quanto si usino tutte le precauzioni se si lavora in un reparto Covid il rischio è davvero troppo alto. Nessuno al momento si tira indietro ma la preoccupazione sale sopratutto in quella che è la prima linea: la terapia intensiva.

Il malessere dei medici che operano nei reparti d'urgenza cresce anche perché la carenza di personale non è un problema emerso all'improvviso in seguito alla pandemia. L'allarme sulle corsie vuote, la mancanza di specialisti dell'emergenza veniva denunciata da anni e ora la situazione è esplosa.

Un operatore sanitario in grado di intervenire in medicina d'emergenza non può essere improvvisato. Un grido d'allarme lanciato nei giorni scorsi proprio dalla Siaarti, la società scientifica che raccoglie le professionalità della medicina d'emergenza. Per allestire un reparto Covid di intensiva non bastano un letto e un ventilatore, ma anche personale adeguato.

Occorrerebbero almeno 4mila medici di emergenza in più ma la loro formazione non si improvvisa. E dunque l'esercito dell'emergenza è sempre quello e colpisce il dato sugli oltre 3.600 operatori sanitari contagiati nell'ultimo mese. Il dato non chiarisce se si sono infettati sul lavoro, ma comunque indica una sofferenza del settore. E così tra gli anestesisti e i rianimatori, ma anche tra gli infermieri la preoccupazione sale. Non è facile tornare ad operare in reparti Covid sovraffollati e magari vedersi costretti nuovamente all'isolamento.

Con turni massacranti inanellati senza sosta, le famiglie lontane, senza nemmeno la consolazione di un abbraccio ai figli o ai compagni di una vita per il timore del contagio. Preziosi e mai abbastanza valorizzati. Eroi forse, martiri no.

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