Assedio a Conte. E lui si arrende per non cadere

Il termometro dello stato confusionale di Giuseppe Conte sta tutto nella sua smentita di ieri mattina, pochi minuti prima delle 8.30.

Assedio a Conte. E lui si arrende per non cadere

Il termometro dello stato confusionale di Giuseppe Conte sta tutto nella sua smentita di ieri mattina, pochi minuti prima delle 8.30. Il premier, infatti, nega categoricamente di essere «disposto ad aprire a un rimpasto di governo». Circostanza, questa, che lui stesso ha confermato negli ultimi giorni. Non solo, in privato, a diversi leader della maggioranza (Nicola Zingaretti e Matteo Renzi). Ma anche, decisamente meno riservatamente, alla stampa con cui ha avuto occasione di parlare nelle ultime ore, personalmente e ripetutamente. Eppure, tanto sono ormai fragili gli equilibri su cui si tiene in piedi il governo, che l'autoproclamato «avvocato del popolo» ha provato a smarcarsi e ha tentato un arrocco difensivo per resistere all'assedio. Un accerchiamento che vede ormai coalizzati i suoi principali alleati di governo e quasi tutta l'opposizione.

La cartina di tornasole dell'impasse nella quale è finito Conte è il confronto serrato sulle misure anti-Covid in corso nella maggioranza (e pure tra esecutivo e centrodestra). Per tutta la giornata di ieri, infatti, si è discusso della possibilità di allentare le maglie sugli spostamenti tra piccoli Comuni il 24 e 25 dicembre e il primo gennaio. Questioni tecniche, si dirà. Ma, in verità, anche molto politiche se è stato esattamente questo il punto sul quale si è compattato un poderoso asse anti-Conte. Con tutti d'accordo, nonostante i secchi «no» degli ultimi giorni, per un allentamento delle misure restrittive.

Non solo Renzi, che due giorni fa in Senato ha messo in chiaro i suoi dubbi su come si sta muovendo il premier. Ma pure un pezzo importante del Pd. Che è cospicuo e che a Palazzo Madama - dove i numeri ballano - si sente comunque rappresentato, almeno in parte, dal capogruppo dem Andrea Marcucci, nonostante i suoi afflati renziani. Poi ci si è messo Luigi Di Maio, anche lui - guarda un po' - favorevole ad allentare le misure anti Covid natalizie. «È assurdo non permettere ai familiari che abitano in piccoli Comuni limitrofi di trascorrere Natale e Capodanno insieme», si è destato ieri il ministro degli Esteri, come se lui con le decisione del governo non avesse nulla a che vedere. E, sullo sfondo, la mozione unitaria del centrodestra presentata in Senato da Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia e calendarizzata per il 14 dicembre. Mozione che quasi certamente non sarà mai discussa, perché - visto l'accerchiamento di un corposo pezzo della maggioranza e di tutta l'opposizione - Palazzo Chigi finirà per acconsentire a un allentamento delle restrizioni. Che sarà regolamentato dalle Faq sul sito del governo, perché una modifica alla Camera del decreto legge Covid (o dl Natale) vorrebbe dire un ulteriore passaggio al Senato che - visto il calendario piuttosto intasato - non pare affatto praticabile.

Il quadro complessivo, dunque, racconta un Conte costretto a fare da pungiball ad alleati e opposizioni. Non a caso il premier ha fatto filtrare la sua disponibilità ad allentare le misure natalizie anti Covid. Dopo le pressioni di Renzi, del Pd e del M5s che fa capo a Di Maio, visto anche il forcing di Matteo Salvini, il presidente del Consiglio ha capito che non era il caso di aprire sul punto un ulteriore fronte parlamentare. E, come succede ormai da giorni, ha dato il suo via libera alle modifiche pur di tenere insieme i pezzi di una maggioranza che sembra giorno dopo giorno più in bilico.

Lo ha fatto per amor di poltrona, nonostante le resistenze dei ministri Roberto Speranza (Sanità) e Francesco Boccia (Affari regionali), convinti che abbassare la guardia sul Covid durante le feste equivalga ad aprire la strada alla terza ondata di contagi. In mezzo il capo delegazione dem Dario Franceschini, sempre più perplesso dai tentennamenti del premier ma non ancora arrivato al punto di rottura.

E in questo, probabilmente, pesa la moral suasion di un Quirinale che dice di essere pronto al voto in caso di crisi ma che, in verità, tutto vorrebbe fuorché tornare alle urne proprio alla vigilia del semestre bianco (che si aprirà il 3 agosto). Ragion per cui al Colle non vedono poi così male la disponibilità di Conte a un rimpasto. Con buona pace delle smentite di Palazzo Chigi.

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