Avviso al centrodestra: di moderatismo si può anche morire

Lo scontro tra politica e magistratura

Avviso al centrodestra: di moderatismo si può anche morire
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Di moderatismo, però, si può anche morire: vien da pensarlo dopo aver letto l'intervista a Maurizio Lupi sul Giornale di ieri, lui che è, appunto, leader di «Noi moderati». Perché vero è che, a proposito del voto regionale in Liguria dopo il caso Toti, di regola si può votare per una parte: ma si può votare anche contro un'altra.

È una regola del bipolarismo, stupida sinché volete, ma è anche uno degli storici insegnamenti della vittoria di Silvio Berlusconi nel 1994; una parte del Paese, al dunque, non fu disposta a consegnarsi a una saldatura tra post-comunisti troppo acerbi e magistrati troppo intraprendenti, diciamo così. L'approccio moderato, dapprima, non premiò molto: lo stesso Berlusconi esordì in politica con un certo rispetto per la Magistratura, ma poi, sotto elezioni, fu travolto da un tornado mediatico/giudiziario a tal punto smaccato da spingere parte dell'opinione pubblica a votare per lui. Vien da pensarlo, dicevamo, dopo aver letto alcune frasi dell'intervista a Maurizio Lupi titolata «Non commettiamo l'errore di chiedere un voto anti-pm».

Lupi dice: «A pesare sul voto semmai sarà il buon governo di Toti». Ma è proprio per il suo governo che l'ex governatore è stato inquisito e imprigionato: per il suo modo di sbloccare pratiche, trovare soluzioni, fruire di spot pubblicitari, agevolare sponsor per le opere pubbliche. Lupi dice: «Non è un referendum su quello che è accaduto a Toti», le elezioni «non sono un voto pro o contro la magistratura». No, d'accordo, ma Toti le elezioni le aveva già vinte (per distacco) e a mandarlo a casa, anzi agli arresti, non sono state le opposizioni, ma la magistratura, anzi la magistratura sostenuta da un codazzo politico che ne ha sposato le tesi anche anti-politiche. «Di grandi battaglie politiche e ideali», secondo Lupi, «si dovrà occupare la politica nazionale». D'accordo, ma si lasci dire (a meno di pensare che la Riforma Nordio sia un modo indiretto di occuparsene) che la politica nazionale, sul caso Toti, ha brillato per assenza.

Insomma, il messaggio di Lupi è chiaro, e non è sbagliato in assoluto: moderatismo, sì, ma suggerimento - non eccediamo nell'ignavia. Lupi dovrebbe saperlo: nel 2015, neppure indagato e solo per via di un'intercettazione telefonica, fu investito da una campagna mediatico/giudiziaria orrenda, legata a un orologio regalato a suo figlio da un imprenditore amico di famiglia e peraltro prosciolto; Lupi si dimise da ministro e, nel suo intervento in Parlamento, citò Tommaso Moro: «Nulla accade che Dio non voglia».

Lupi aveva esordito in politica nel 1993 da consigliere comunale per la Democrazia Cristiana: stesso anno in cui, nel pieno di Mani pulite e a colpi di moderatismo, il segretario Mino Martinazzoli sciolse il partito (continuamente evocato oggi) nell'indifferenza generale. Oltre a Tommaso Moro, Lupi potrebbe ascoltare la lezione di Aldo Moro, quando disse, nel 1977, che la Dc non si sarebbe lasciata processare nelle piazze.

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