Si può stare male, soffrire, mentalmente e fisicamente, per qualcosa che non è mai accaduto? Si chiama effetto "nocebo". Una reazione negativa generata da qualcosa di nocivo che però esiste soltanto nell’immaginazione. La prima studiosa a parlare di memoria falsata e "falsi ricordi" è la psicologa statunitense Elizabeth Loftus, che da anni si batte per il riconoscimento di quella che considera come una vera e propria sindrome. La memoria, infatti, spiega la psicologa, non è uno scrigno impermeabile ma il frutto di ricostruzioni fatte sul momento da ognuno di noi. E operando opportune manipolazioni è possibile portare le persone a pensare di ricordare cose che in realtà non sono mai accadute.
I più vulnerabili a questo tipo di meccanismo sono i bambini e gli anziani. In sintesi, secondo gli esperti citati in un approfondimento Avvenire, non c’è bisogno di aver vissuto "un’esperienza esterna per creare una memoria". Si può ricordare qualcosa anche per il semplice fatto di essere stati indotti a farlo. Il risultato è che se ricordiamo qualcosa siamo convinti che quel qualcosa sia accaduto davvero. Dai falsi ricordi, quindi possono generarsi delle conseguenze vere e tangibili.
Emblematica e a tratti inquietante, in proposito, è la storia di Michelle Smith, moglie dello psichiatra canadese Lawrence Pazder. Negli anni ’80, come ricostruisce un dossier del Fatto Quotidiano, viene dato alle stampe il volume Michelle Remembers, racconto di centinaia di ore di sedute di ipnosi in cui la donna ha ripercorso un’infanzia fatta di molestie sessuali, orge, omicidi rituali, che si svolgevano nella cantina di casa sua e nel cimitero della città in cui viveva. La responsabile delle atrocità sarebbe stata la madre di Michelle, affiliata ad una setta satanica.
Peccato che dei suoi racconti non ci fosse nessuna prova. Nessuna segnalazione, nessun omicidio denunciato, addirittura la sua casa non aveva neppure una cantina. Soltanto dopo anni di inchieste si scoprì che le aberrazioni raccontate da Michelle erano soltanto un remake del film horror diretto da Roman Polanski, Rosemary’s Baby. Ma nello stesso periodo vennero fuori decine di casi in Nord America, in Europa e persino in Italia. Nessuna delle accuse fu confermata.
Proprio come a Bibbiano, dove secondo l’inchiesta Angeli e Demoni, gli assistenti sociali della Val D’Enza avrebbero falsificato le relazioni da consegnare al tribunale dei minori per allontanare i bimbi dalle loro famiglie e darli in affido. Un business che secondo quello che raccontano le carte dell’inchiesta avrebbe fruttato centinaia di migliaia di euro. Ma dietro le pressioni psicologiche sui minori ci sarebbe stata anche una vera e propria ideologia, che si contrappone alla prassi indicata dai tribunali: quella del guru del centro Hansel & Gretel, Claudio Foti.
Il copione di Bibbiano, fatto di domande mirate a tirare fuori dalla mente dei bambini episodi mai verificatisi nella realtà, alterando così le loro testimonianze a favore della versione prediletta dagli specialisti, si ripete in altre inchieste per abusi: da Biella a Rignano Flaminio. Dietro le perizie sulle presunte vittime c’è sempre lui, Claudio Foti e i suoi collaboratori.
La sua teoria parte dal presupposto che bisogna tirare fuori dal bambino il ricordo della violenza, che quasi sempre viene tenuto nascosto, chiuso in un cassetto del cervello. Tocca agli psicologi tirarlo fuori. Anche quando è nascosto così bene che è quasi impossibile trovarlo. Forse proprio perché il fatto non è mai esistito.
Eppure gli strumenti a tutela dei più vulnerabili, in questo caso i bambini, esisterebbero. La Carta di Noto, ricorda Il Fatto Quotidiano, disciplina le buone pratiche da rispettare per condurre i colloqui con i minori. Tra le procedure vietate c’è quella delle domande martellanti o che possano suggestionare i bambini.
Chi interroga un bambino, inoltre, non deve mai esprimersi sulla veridicità o meno di un fatto. Al contrario di quello che accadeva a Bibbiano.Del resto proprio Foti in un suo scritto l’aveva definita nient’altro che un “vangelo apocrifo”.
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