Bocciato dai prof, promosso dal Tar: scuola inadatta per i "plus dotati"

A Vicenza sentenza storica per gli alunni "plus-dotati". Certificati gli errori della scuola nei loro confronti

Bocciato dai prof, promosso dal Tar: scuola inadatta per i "plus dotati"

Non immaginateli per forza con gli occhiali, goffi davanti a un pallone o in grado di ripetere a memoria tutte le capitali del mondo. Non sono uno stereotipo. Sono esattamente l'opposto. Non sono facili da classificare, non si trovano nei protocolli e mostrano invece la tendenza a rompere gli argini e a pensare fuori dai sentieri più consumati. Non fanno nulla per farsi riconoscere e non è detto che siano i migliori a scuola. L'unica cosa certa è che mostrano qualche talento fuori dal comune e questo, in un sistema dove la didattica ha fin troppi paletti, non sempre è un merito. Non chiamateli geni, perché il genio nella storia dell'umanità è raro, sono soltanto bambine e bambini con una marcia in più. Qualche volta stanno semplicemente un po' più avanti rispetto alla loro età, tipo cominciano quasi per caso a leggere a tre anni. Nessuno glielo insegna con metodo, trovano il modo. Si ritiene che in Italia siano il 5 per cento della popolazione scolastica. Fanno parte anche loro della categoria deviante dei Bes, gli alunni con «bisogni educativi speciali».

C'è una storia di questi giorni che riguarda proprio uno di loro. Non è il caso di farne il nome. Si può dire che vive in un paesotto in provincia di Vicenza e quest'anno fa la terza media, ma in deroga eccezionale rispetto a quello che è successo sette mesi fa. Niente di drammatico, ma che per un ragazzino di dodici anni può lasciare il segno. È stato bocciato. Qualcosa non ha funzionato, per esempio arrivava in ritardo perché quella scuola gli sembrava un po' pigra e lui aveva voglia di leggere libri molto più interessanti, storie e questioni che lo coinvolgevano, magari c'è anche quel pizzico di supponenza di chi è già andato oltre. Non è giusto, ma a quell'età può accadere. Per dirla in breve lui e i suoi insegnanti non si sono capiti. Lo fermi un anno così impara a stare al mondo o semplicemente, carte alla mano, non meritava di andare in terza. I genitori non si sono però arresi alla sentenza e si sono rivolti al tribunale amministrativo. I giudici del Tar hanno bocciato la bocciatura. Hanno riscontrato un quadro di «plus dotazione cognitiva». La regola del «è troppo intelligente ma non si applica» non vale. Tutto in questo caso è molto più complesso. Il ragazzo avrebbe avuto bisogno di un percorso didattico personalizzato. «Sarebbe stato utile integrare le attività con degli approfondimenti e dei compiti sfidanti e motivanti, aggiungere materiali didattici e di approfondimento più complessi, considerare la possibilità di processi di ragionamento più creativi e divergenti rispetto al solito». I docenti, e il preside, non avrebbero capito che serviva uno sforzo in più per motivare questo «talento» un po' particolare. È una sentenza innovativa che apre domande su come la scuola deve confrontarsi con le anomalie.

Non è facile aiutare chi ha difficoltà sociali o familiari. Non è semplice sostenere chi è un po' più lento degli altri. Non è scontato riconoscere lo smarrimento del talento. Sono tutte storie personali e uniche che hanno bisogno di un approccio quantistico alle vite dei ragazzi. Serve forse soprattutto un po' di buon senso, quello che ti dà la forza di andare oltre il protocollo, al di là dello sguardo pigro di chi non ha voglia di interrogarsi su chi si ha davanti. Molti, moltissimi, professori in realtà lo fanno, tutti i santi giorni, e di certo non per lo stipendio. È la scuola, come struttura, come istituzione, che ha puntato negli ultimi decenni più sul regolamento che sul fattore umano.

Maria Teresa Zanetti dirige una istituzione universitaria piuttosto particolare. Si chiama LabTalento ed è nata nel 2009 all'interno del dipartimento di scienze del sistema nervoso e del comportamento dell'università di Pavia. È un laboratorio di studio e ricerca che si preoccupa di riconoscere e valorizzare i ragazzi divergenti. Negli anni è diventata una rete che coinvolge parecchi atenei. «Il rischio - racconta lei - è che questi studenti abbiano forti difficoltà a scuola. Faticano ad adattarsi. Non è solo una questione di noia. È che sono troppo creativi. Hanno un pensiero e una visione fuori canone e questo a volte può spaventare gli stessi insegnanti». Le situazioni più complicate sono quelle di ragazzi con «doppia eccezionalità». Non solo hanno un'intelligenza particolare, ma sono allo stesso tempo dislessici, disgrafici o iperattivi. È il Bes che si somma ai Dsa, brutta sigla che sintetizza in modo rozzo i disturbi specifici dell'apprendimento. È strano ma Bes e Dsa tendono a incrociarsi, soprattutto quando il pensiero è più veloce della scrittura, della lettura o dell'azione. È come un calciatore che vede corridoi invisibili e corre con un ginocchio sofferente. L'esempio non è casuale.

Non c'è nulla di più semplice del calcio per spiegare la situazione di un «bambino speciale». E di un nome: Roberto Baggio. Tanti allenatori negli anni dell'assolutismo tattico non sapevano dove mettere il suo talento dissonante. La scelta più «ordinata» era lasciarlo in panchina.

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