L'obiettivo del politicamente corretto è raggiungere l'uguaglianza attraverso il «risarcimento» dei popoli colonizzati dall'Occidente e il «riconoscimento» delle minoranze (etniche o sessuali) vittime di discriminazione. Ci sarebbe molto da ridire sulla bontà della meta e sul metodo scelto per arrivarci: il pluralismo è sempre preferibile all'uguaglianza e le leggi devono essere uguali per tutti perché introdurre eccezioni a tutela di particolari categorie significa regalare un potere immenso allo Stato. Lo ha insegnato Giovanni Sartori, maestro della sinistra ormai accantonato in favore di Fedez. Mettiamo da parte il problema per un'altra occasione. Ora limitiamoci a osservare che i passaggi intermedi ottengono regolarmente il risultato opposto a quello desiderato: se c'è una differenza (etnica, sociale, economica, sessuale) arriva il politicamente corretto a sottolinearla in modo ossessivo, complicando le cose. Politica e calcio sono spesso andati a braccetto: le squadre nazionali erano pilastri della propaganda nei regimi dittatoriali. Si credeva che il fenomeno fosse superato almeno in Occidente. Invece il politicamente corretto ha fatto irruzione agli Europei, spostando l'attenzione su quanti giocatori debbano inginocchiarsi in onore di Black Lives Matter e quali stadi debbano essere illuminati con i colori arcobaleno in onore delle istanze LGBT. Il tutto ha pure causato un incidente diplomatico tra Germania e Ungheria, per niente incline all'approccio arcobaleno. Le questioni sono davvero poste male. Pare non si possa essere antirazzisti senza omaggiare un movimento violento come Black Lives Matter. Pare non si possa rifiutare l'omofobia senza esporre l'arcobaleno, ormai un simbolo politico. In Italia, a questo proposito, tiene banco la polemica feroce sul Ddl Zan, un altro capitolo preoccupante: per combattere l'omofobia, giusta causa, si sanziona la libertà d'espressione, errore imperdonabile. Si impone così una finta tolleranza dalle conseguenze potenzialmente più gravi dei vantaggi sperati. Lo stadio di Monaco di Baviera color arcobaleno è l'affascinante foto da copertina dietro alla quale si nasconde un disastro. Grazie a un malinteso multiculturalismo, alcuni quartieri delle metropoli americane regrediscono alla legge della tribù. Nessuno si riconosce più nelle regole della democrazia liberale. I «suprematisti» bianchi soffiano sul fuoco del razzismo, e questo è inaccettabile. Però Black Lives Matter risponde con la criminalizzazione del maschio bianco, qualunque cosa faccia o abbia fatto, perfino nel passato remoto. Gli scontri razziali su vasta scala non sono più un ricordo e neppure una eccezione. La cancel culture vuole risarcire le minoranze attraverso la condanna e l'eliminazione di qualunque cosa sia sospettabile di colonialismo o razzismo.
Ne è nata una battaglia, tanto antistorica quanto demenziale, per censurare statue, opere letterarie, film, addirittura fiabe. Questi sono i brillanti (si fa per dire) risultati dell'uguaglianza imposta per conformismo o per legge.
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