Sono passati 8 anni da quando Lorys Andrea Stival, un bambino di 8 anni, fu ucciso dalla madre, strangolato con delle fascette da elettricista e gettato in un canalone nelle campagne di Santa Croce Camerina (Ragusa).
Veronica Panarello, al tempo 26enne, nel novembre del 2019 fu condannata con sentenza passata in giudicato a 30 di reclusione per omicidio e occultamento di cadavere. Sia durante le indagini che al processo, la donna non ammise mai le proprie responsabilità fornendo versioni fortemente contrastanti sulla dinamica del delitto. La perizia psichiatrica stabilì che fosse perfettamente in grado di intendere e volere nonostante mostrasse "tratti disarmonici della personalità".
"Quando la periziai nel carcere di Catania, la signora Panarello mostrava dei tratti istrionici della personalità. Vale a dire una tendenza ad alterare la realtà attraverso una serie di 'contronarrazioni' immaginarie che le servivano, non solo ad allontanare da sé i sospetti, ma anche come scudo dalla realizzazione del senso di colpa", racconta alla redazione de ilGionale.it il dottor Silvio Ciappi, psichiatra e criminologo, nonché perito di parte nel processo a carico di Veronica Panarello.
La denuncia di scomparsa
È il 29 novembre del 2014, un sabato come tanti a Santa Croce Camerina, una tranquilla cittadina del Ragusano. Attorno alle ore 13 Veronica Panarello telefona alla polizia per denunciare la scomparsa del figlio, Lorys Andrea Stival. La donna racconta di aver accompagnato il bambino a scuola verso le 8.30, poi di aver portato il figlio minore Diego in ludoteca. Alle 12.30 sarebbe andata a riprendere Lorys ma le maestre gli avrebbero detto che il ragazzino non era in classe quella mattina. Da qui la decisione di allertare le forze dell'ordine.
Il ritrovamento del cadavere
Passano alcune ore. Veronica, che da tutti viene descritta come una madre premurosa e apprensiva, è molto provata. Telefona al marito, Davide Stival, che è via dalla Sicilia per lavoro chiedendogli di rientrare a casa. L'uomo, un autotrasportatore, non fa in tempo a mettersi alla guida del camion che, pressappoco alle ore 16, apprende la notizia della morte di Lorys. Il bambino è stato ritrovato senza vita in un canale di scolo nella campagne alla periferia di Santa Croce Camerina, a circa 4 chilometri dal centro abitato, lungo la via che conduce al "Mulino Vecchio".
A segnalare la presenza del cadavere è stato un pensionato con l'hobby della caccia, tal Orazio Fidone, che durante una passeggiata ha notato il corpicino senza vita del bimbo. Sul posto accorrono gli agenti della squadra Mobile, guidata al tempo da Antonio Ciavola, e un'ambulanza. Ma per Lorys è già troppo tardi.
Le prime ipotesi
Tra le prime ipotesi investigative c'è quella di un rapimento a scopo sessuale. Il bimbo è stato rinvenuto riverso a pancia in giù, con i pantaloni abbassati e senza slip. Una circostanza macabra, per certo equivoca, che costringe la procura di Ragusa ad aprire un fascicolo per sequestro di persona e omicidio volontario contro ignoti. Nelle prime 24 ore l'attenzione degli inquirenti si concentra sul pensionato che ha rinvenuto il cadavere. Ma l'anziano non c'entra nulla con la morte del bambino, risultando da tutte le evidenze investigative completamente estraneo ai fatti. Allora chi è "l'orco" che ha ucciso Lorys?
I sospetti su Veronica Panarello
A Santa Croce Camerina si diffonde la paura di un fantomatico predatore sessuale che aggredisce i bambini. Intanto gli inquirenti indagano a tutto campo nel tentativo di stanare rapidamente il killer. I genitori di Lorys sono fortemente provati, Veronica piange e si dispera stretta ai vestiti del suo bambino. Una mattina però accade qualcosa.
Due maestre di Lorys fanno visita agli Stival per le condoglianze di rito. Durante la conversazione, Veronica mostra alle insegnanti alcune fascette di plastica che il figlio, a suo dire, le avrebbe fatto acquistare per un esperimento di scienze. Le insegnanti negano di aver mai fatto agli alunni richieste del genere supponendo sia stata una iniziativa del bimbo. Davide Stival intuisce che c'è qualcosa di strano. Soprattutto non riesce a spiegarsi il motivo per cui Veronica ha estratto dalla scatola degli attrezzi quelle fascette da elettricista, apparentemente innocue, attribuendogli particolare rilevanza. Dunque decide di informare immediatamente il capo della squadra mobile che, dopo aver parlato al telefono con le due maestre, comincia a sospettare di Veronica.
L'arma del delitto
Gli inquirenti sospettano che quelle fascette possano essere l'arma del delitto. L'autopsia rileva infatti che il bimbo è morto per strangolamento da costrizione. E quei collarini in plastica hanno la stessa lunghezza dei solchi rinvenuti sul collo e sui polsi di Lorys. Una traccia più delle altre corrisponde inequivocabilmente al nottolino di chiusura delle fascette. Veronica viene sentita in qualità di persona informata sui fatti ma giura e spergiura di aver accompagnato Loris a scuola quel sabato mattina. Si tratta, però, di una versione poco convincente.
Dopo aver passato al vaglio centinaia di registrazioni delle telecamere di sorveglianza cittadina, gli inquirenti scovano un frame che riprende la Polo nera di Veronica al passaggio di un incrocio. Si tratta di una deviazione anomala rispetto al percorso ordinario che, dalla casa degli Stival, conduce all'istituto frequentato dal bambino. Ma c'è di più. Gli altri filmati escludono la possibilità di percorsi alternativi: Lorys non è mai arrivato a scuola quella mattina.
I filmati
A una settimana dall'apertura delle indagini, Veronica Panarello viene convocata nuovamente in procura. A tarda sera, dopo un lungo interrogatorio, viene emesso un provvedimento di fermo a carico della 26enne, formalmente indagata per l'omicidio del figlio. A supporto dell'ipotesi accusatoria vi sono i filmati di una telecamera privata puntata in via Garibaldi, dove vive la famiglia Stival. Alle ore 8.30 di sabato 29 novembre il sistema inquadra tre "sagome" che escono dal portone dell'abitazione al civico 12. Per gli inquirenti si tratta di Veronica, Lorys e Diego. Dopo una manciata di secondi uno di questi "profili" torna indietro. Verosimilmente si tratta di Lorys mentre la mamma e il secondogenito salgono a bordo della Polo nera.
La sequenza successiva di filmati fissa la dinamica degli eventi: alle 8.40 Veronica parcheggia accanto alla ludoteca; alle 8.47 torna a casa e parcheggia l'autovettura in garage. Alle 9.23 l'utilitaria della Panarello esce nuovamente di casa; due minuti più tardi la Polo svolta verso la strada del "Mulino vecchio", il luogo dove è stato rinvenuto il cadavere del bimbo. Alle 9.38 Veronica Panarello rientra a casa per poi riuscire subito e dirigersi a Donnafugata dove, alle ore 10, è attesa per un corso di cucina. Per gli inquirenti non ci sono dubbi: Lorys è stato ucciso a casa e poi trasportato, già senza vita, nelle campagne alla periferia di Santa Croce Camerina.
La presunta confessione
Il 7 agosto 2015, dopo 8 mesi di reclusione, Veronica viene scortata al cimitero dove è seppellito il figlio. Gli inquirenti hanno ambientalizzato la tomba con delle microspie auspicando una confessione della donna. Ma Veronica non fa altro che piangere e si disperarsi sulla lapide di Lorys. Sulla strada di ritorno verso il carcere, però, alla 26enne cominciano ad affiorare dei ricordi di quella tragica mattinata. Tre mesi dopo, durante un colloquio col marito, rivela di non aver accompagnato il figlioletto a scuola quel sabato. Ma quando il padre del bimbo chiede ulteriori spiegazioni, lei si giustifica: "Ho un vuoto, un buio - dice - Come se la mente si oscura a un certo punto".
Nel tentativo di "risvegliare i ricordi", gli inquirenti accompagnano Veronica nell'abitazione di via Garibaldi, il presunto luogo del delitto. La 26enne ricostruisce, passo dopo passo, la dinamica dell'accaduto. A suo dire, avrebbe trovato Lorys in camera sua, con i pantaloni abbassati, e una fascetta da elettricista stretta attorno al collo. In preda al panico, pare nel tentativo di salvarlo, avrebbe stretto ulteriormente il collarino in plastica anziché reciderlo con delle forbici. Spaventata dall'idea di doversi giustificare col marito ha desistito dall'idea di chiamare i soccorsi lasciando morire il figlioletto sotto i suoi occhi.
In buona sostanza ventila l'ipotesi di una morte accidentale, un "gioco" finito in tragedia. Quella stessa mattina Veronica viene scortata anche al canalone dove è stato trovato il cadavere di Lorys. "L'ho gettato io ma non so perché l'ho fatto - racconta al capo della squadra mobile Antonio Ciavola - Non credevo ci fosse il vuoto. Che razza di persona sono? Mi merito l'ergastolo". Ma per gli investigatori si tratta di una narrazione mendace, incompatibile con le risultanze investigative.
Le accuse contro il suocero
Pochi mesi dopo Veronica cambia ancora una versione. Stavolta chiama in causa il suocero, Andrea Stival, accusandolo del delitto. La 26enne racconta di una presunta relazione sentimentale col nonno di Lorys, circostanza della quale il figlioletto sarebbe venuto a conoscenza minacciando di rivelare tutto al padre. A quel punto, racconta ancora la Panarello, il suocero avrebbe aggredito il nipotino e, al culmine di un litigio, lo avrebbe strangolato con le fascette da elettricista.
In questa narrazione il ruolo della 26enne sembra marginale poiché avrebbe partecipato solo alla fase di occultamento del cadavere. Ma le telecamere di via Garibaldi escludono categoricamente la presenza di Andrea Stival sulla scena del crimine. Inoltre, non risulta alcun tipo di relazione sentimentale tra Veronica Panarello e il nonno di Lorys. Andrea Stival è assolutamente estraneo alla vicenda, confermano gli inquirenti.
La perizia psichiatrica
Nel 2015 l'avvocato della 26enne, Francesco Villardita, chiede il rito abbreviato con perizia psichiatrica. Veronica, a colloquio con il pm Francesco Rota, si finge pazza mettendo in atto una serie di comportamenti fuorvianti e sopra le righe. Ma per gli psichiatri incaricati dal gup di Ragusa, Andrea Reale, la mamma del piccolo Lorys è "perfettamente in grado di intendere e volere", mostrando una "tendenza a manipolare la realtà attraverso meccanismi consci istrionici e onnipotenti".
"Veronica è sicuramente una persona con un vissuto traumatico - spiega il dottor Silvio Ciappi - In passato aveva messo in scena tre tentativi di suicidio, c'era stato anche un ricovero in psichiatria. Questo non giustifica la gravità del gesto ma ci aiuta a comprendere le dinamiche che sottendono il delitto. Per certo si tratta di una persona 'disorganizzata' in cui, cioè, tutte le componenti cognitive non sono in armonia con le emozioni. Si è servita di contronarrazioni immaginarie sia per allontanare i sospetti da sé che per farsi scudo dalla realizzazione del senso di colpa. Così facendo si è 'autoassolta' finendo per credere al racconto frutto della sua fantasia".
La condanna
Il 17 ottobre del 2016 Veronica Panarello viene condannata in primo grado a trent'anni di reclusione per omicidio volontario e occultamento di cadavere. La pena viene confermata il 5 luglio del 2018 dai giudici della Corte d'Assise d'Appello di Catania. Il 21 novembre del 2019 la sentenza passa in giudicato con la pronuncia definitiva della Corte Suprema di Cassazione. "Giuro che ti ammazzo con le mie mani quando esco", dice la Panarello rivolgendosi al suocero durante la lettura del dispositivo. Il 17 settembre 2021, il giudice monocratico del Tribunale di Ragusa Elio Manenti ha stabilito che la donna, oggi 34enne, dovrà scontare due anni di reclusione per calunnie nei confronti di Andrea Stival oltre a rifondere la parte offesa con 24mila euro di risarcimento e provvedere al pagamento di tutte le spese processuali.
Mamme che uccidono i figli
Il delitto di Santa Croce Camerina rimanda, quasi inevitabilmente, all'omicidio avvenuto il 13 giugno a Mascalucia, in provincia di Catania. Proprio come Lorys anche la piccola Elena, di soli 5 anni, è stata uccisa dalla madre, Martina Patti, e poi abbandonata in un campo.
"I due drammatici episodi presentano delle analogie, - conclude il dottor Ciappi - Di fondo credo via sia una profonda paura dell'abbondo da parte delle due donne (Veronica Panarello e Martina Patti, ndr). Per quel che riguarda la mia esperienza, posso dire che dietro questi agiti violenti vi è quasi sempre una storia di enorme sofferenza.
Di fronte al dolore – ma questo vale per chiunque - abbiamo due possibili modi reagire: il primo è quello di trasformare la sofferenza in qualcosa di positivo, il secondo è quello di mettere in atto una serie di comportamenti ancor più distruttivi. Ed è quello, credo, che è scattato nella mente di queste due giovani madri".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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