File chilometriche di ambulanze all'ingresso dei pronto soccorso, centralini del 118 subissati di telefonate e lunghe code di persone in attesa per il tampone fuori dagli ospedali. È l'istantanea dell'Italia nell'era della ormai celeberrima 'seconda ondata', quella in cui la frenesia da contagio rischia di mietere più vittime del virus mettendo a dura prova, anzi durissima, l'intero sistema sanitario nazionale. Ora, il problema sono i medici di base. ''La popolazione spesso dovrebbe chiamare i medici di famiglia, ma ritiene noi gli interlocutori privilegiati'', spiega Mario Balzanelli, presidente Società italiana Sistema 118, responsabile di una Covid station con 20 posti letto a Taranto.
Che la situazione negli reparti di terapie intensive non sia delle più idilliache è un dato di fatto. Ma che il sovraccarico ospedaliero sia figlio esclusivo dell'incremento repentino dei positivi - perlopiù asintomatici, è bene sottolinearlo - è una evidente inesattezza. Se non è questo già il momento di tirare le somme relative alla discutibile gestione dell'emergenza, non si può di certo ignorare l'assenza di una carenza strutturale e organizzativa nelle rete assistenziale. ''Il sistema emergenziale nazionale va incontro al rischio di fallimento se non si aumentano i mezzi e gli equipaggi del 118, e se non si creano aree dedicate per la presa in carico di elevati volumi di pazienti acuti e sintomatici. - chiarisce il capo del 118 alle colonne de La Nazione -È un errore metodologico importante prendere decisioni ragionando solo sugli asintomatici e sui contagi: il vero dato da monitorare è il riempimento delle terapie intensive, che raddoppia di settimane in settimane''.
A pagare lo scotto di una gestione colabrodo dell'emergenza, e di una condizione di psicosi generale, sono soprattutto gli operatori del 118. Le persone, in preda al panico, si rivolgono all'unità di primo intervento e non ai medici di base come da protocollo nei 'mesi caldi' dell'epidemia. ''Le centrali operative sono subissate da richieste da parte di persone ansiose e spaventate. - continua Balzanelli - Tutto ciò va compreso e occorre dare risposta organizzata. Innanzi tutto la linea ufficiale della comunicazione epidemiologica alla popolazione deve essere unitaria e basata sempre su evidenze scientifiche. I messaggi degli esperti in perenne contraddizione sono l'antitesi dell' educazione sanitaria in un momento così difficile. Il 118 sono 25 anni che è subissato da telefonate di casi che non sono emergenze: siamo abituati a gestire una mole eccessiva di lavoro. La popolazione spesso dovrebbe chiamare i medici di famiglia, ma ritiene noi gli interlocutori privilegiati''.
Lockdown sì o lockdown no? È il dubbio amletico, scevro purtroppo da considerazioni di natura scientifica e clinica sul virus, che attanaglia gli abitanti di palazzo Chigi. Ma se da un lato qualcuno ne reclama l'impellenza, Balzanelli chiude senza mezzi termini a questa possibilità:''Credo che occorra rinforzare le misure di protezioni individuali chiudendo le tre vie d'ingresso del virus: occhi, naso e bocca. Bisogna usare la visiera assieme alla mascherina se non si riesce a mantenere la distanza interpersonale. Io dico: liberi tutti, altroché lockdown. Stiamo distanti il più possibile, andiamo negli spazi aperti, sparpagliamoci al mare, in montagna. Il 95% dei positivi è asintomatico e se ci chiudiamo nei condomini d'inverno, considerando l'altissimo livello di contagiosità del virus, rischiamo di friggere intere città nei palazzi. Con un lockdown contageremmo i parenti, i vicini, gli anziani. Non si possono tenere 60 milioni di italiani al guinzaglio''.
Ma se un ''reset'' (così come lo aveva definito giorni fa il virologo Crisanti) è impensabile, resta il cruccio della mole di pazienti da gestire a carico degli ospedali. Sono decine, e forse anche di più, le persone che restano in attesa all'ingresso dei pronto soccorso.''La mancanza di programmazione ospedaliera spinge il personale a ritardare anche di giorni la presa in carico degli ammalati. Questa cattiva gestione politica dell'emergenza sanitaria ha determinato la paralisi delle tempistiche all'arrivo dei pazienti acuti, con un quadro di blocco permanente degli accessi e un innaturale e pericoloso allungamento dei tempi di ospedalizzazione. La conseguenze? Diverse persone sono morte durante l'attesa al Pronto soccorso''.
Il nocciolo della questione, dunque, resta sempre lo stesso: l'assenza di misure in adeguamento alla richiesta crescente di interventi per casi Covid sospetti o presunti tali. ''Avevamo chiesto un rinforzo dei mezzi mobili di soccorso e delle centrali operative: almeno il 20% di infermieri in più da assumere. - conclude il capo del 118 - Bisognava dare il saturimetro a ogni positivo in isolamento domiciliare: la riduzione dell'ossigeno avviene 3-4 giorni prima che sia necessaria l'ospedalizzazione, così i casi gravi non arrivano in corsia con i polmoni distrutti.
Occorreva dotare il personale ospedaliero dei dispositivi idonei di protezione. Servivano spazi adeguati per accogliere i pazienti, ospedali da campo come a Wuhan, Covid house per i ricoveri domiciliari e non ammassare i malati con le famiglie. Infine, mancano i ventilatori''.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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