Il Cappellaio Matto

Nel campo più o meno largo di Enrico Letta, già scoppiato prima di nascere, spicca, non ce ne voglia, la figura di Carlo Calenda

Il Cappellaio Matto

Nel campo più o meno largo di Enrico Letta, già scoppiato prima di nascere, spicca, non ce ne voglia, la figura di Carlo Calenda. In questa edizione «speciale» del Paese delle Meraviglie in cui succede di tutto, dove qualsiasi argomento è prezioso per una polemica in un caravanserraglio in cui alloggiano pseudo-liberali, radicali, cattolici, riformisti o supposti tali, verdi delle origini, post-comunisti e comunisti (ricorda il bar di guerre stellari), non si capisce il ruolo che il leader di Azione si è dato. Due giorni dopo l'accordo siglato con il segretario del Pd appare stupito come Alice per la presenza di Fratoianni e Bonelli. Addirittura incredulo di fronte alle loro asserzioni, come se non fosse a conoscenza di ciò che pensano da sempre, a quale elettorato si rivolgono e quale sia il loro retroterra culturale e programmatico. Che poi, in realtà, non è poi tanto diverso da quello di piddini o ex-piddini come Orlando, Speranza o Provenzano. Calenda, invece, parla come se fosse precipitato in questo strano Paese direttamente da un altro mondo: si mostra inconsapevole, perplesso, tentato dalla voglia di prendere il biglietto per il viaggio di ritorno.

Francamente la sorpresa di Calenda non convince. Il personaggio non è un novizio della politica, ha fatto il ministro, ha dialogato per tanto tempo con le strane creature che Letta desidera avere nel campo largo. Desideri - e di questo bisogna dargli atto - che il segretario del Pd non ha mai sottaciuto, né nascosto. Motivo per cui c'è da chiedersi se in realtà nel Paese del «campo largo» Calenda non interpreti il ruolo di Alice ma quello del Cappellaio Matto. E già, perché non c'è nessuna relazione - e coerenza - tra il Calenda che si presenta al Comune di Roma in alternativa sia alla destra sia alla sinistra, che la tira per mesi e mesi sull'idea di un terzo Polo, che poi fa l'accordo con Letta, ben conoscendo la geografia politica che persegue il suo alleato e che ora, come un marziano caduto sulla terra, lancia veti e scomuniche come se non avesse capito due giorni fa i contorni della coalizione in cui si è ficcato.

Sì, c'è un «nonsense» nel suo comportamento. C'è del «genio e sregolatezza» che sconfina nel masochismo verso se stesso o nel sadismo verso i suoi alleati e lo schieramento a cui ha aderito. Ma, soprattutto, fa a botte con quell'immagine di serietà e professionalità che il leader di Azione ha tentato di darsi. È difficile rivendicare tali requisiti, infatti, se non sai o non ti rendi conto degli alleati con cui ti accompagni. Se ti sposi con Letta e ti nascondi i parenti che il tuo nuovo coniuge si porta dietro.

E, soprattutto, viste le incongruenze e le contraddizioni che il nostro Cappellaio Matto fa finta di scoprire oggi, appare sempre più evidente che nella trattativa con il Pd l'unico dato certo, che ha contato davvero, non è stato il programma ma quel trenta per cento di candidature per cui il leader di Azione ha barattato la scommessa di un anno fa. A questo punto solo le urne ci diranno se il Cappellaio del campo largo è matto davvero o no.

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