Per la terza volta, la Cassazione dà ragione ai legali di Massimo Bossetti, il muratore di Malpello condannato all'ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio. Stando a quanto rivela un'anticipazione del settimanale Oggi, rilanciata dal sito Dagospia, la Suprema Corte ha rinviato alla corte di assise di Bergamo il giudizio sull'istanza relativa allo stato di conservazione dei reperti concernenti il delitto. Il legali del 51enne, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, promettono un "terremoto".
La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha accolto l'istanza della difesa di Massimo Bossetti che, nei mesi addietro, aveva chiesto di poter aver accesso ai reperti ritenuti di "secondaria importanza" nel processo che ha condannato all'ergastolo il muratore di Malpello per l'uccisione della giovane ginnasta bergamasca. Trattasi di quelle prove che la Procura definisce "scartini" ma che, secondo i legali del 51enne, potrebbero giocare un punto a favore del loro assistito.
Lo scorso 21 maggio, in camera di consiglio si è affrontata l'istanza sullo stato di conservazione dei reperti relativi all'omicidio, dopo che alcuni articoli dei maggiori quotidiani avevano gettato ombre sulla custodia degli stessi. Oggi, la Suprema Corte si è espressa a favore del pool difensivo di Bossetti rinviando alla corte di assise di Bergamo il giudizio sul tema sollevato dai legali Salvagni e Camporini. Si tratta dunque di una nuova pronuncia a favore del 51enne dopo le due precedenti istanze circa le modalità di accesso ai reperti - tra cui il Dna e gli abiti della vittima -. Anche su questi aspetti la Cassazione aveva rinviato a Bergamo e lo scorso 19 maggio c'è stata un'udienza in cui i difensori hanno nuovamente sollecitato un calendario per poter visionare le prove su cui si è decisa la condanna all'ergastolo del loro assistito.
La prova regina che incastrò Bossetti
La colpevolezza di Massimo Bossetti fu dimostrata dalla sovrapponibilità del Dna nucleare con quello di "Ignoto Uno", rilevato sugli indumenti intimi di Yara e ritenuto dall'accusa l'unico riconducibile all'assassino, oltre che per la posizione, perché riscontrato nella zona colpita da arma da taglio sul corpo della giovane vittima.
Per contro, gli avvocati del 51enne ha sempre sostenuto che il Dna mitocondriale minoritario apparterrebbe ad un altro individuo, definito dai legali "Ignoto 2". Per questo motivo, a più riprese, hanno chiesto una revisione del processo puntando agli "scartini" della traccia 31G 20 ritenuta la "prova regina" nel corso del dibattimento.
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