"Traccia esaurita". Il destino di Bossetti appeso a degli "scartini"

Il legali di Massimo Bossetti, il 51enne condannato all'ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio, chiedono di poter aver accesso ai reperti "secondari" del processo

"Traccia esaurita". Il destino di Bossetti appeso a degli "scartini"

La traccia 31 G20 che rappresenta la "prova regina" nel processo che portò alla condanna di Massimo Bossetti per l'omicidio di Yara Gambirasio "è forse l'unica traccia che è effettivamente esaurita, stando alle dichiarazioni dei consulenti di allora". A dirlo sono i legali del 51enne che, nonostante tutto, hanno chiesto di poter esaminare quelli che la procura definisce "scartini" in quanto ritenuti di secondaria importanza ai fini processuali.

Il delitto

I fatti risalgono a venerdì 26 novembre 2010. Pressappoco alle ore 17.30, la 13enne Yara Gambirasio si reca nel centro sportivo di Brembate di Sopra, dove si allena in ginnastica ritmica. Lì rimane, secondo varie testimonianze, almeno fino alle ore 18:40 circa, dopodiché svanisce nel nulla. La sua casa dista 700 metri dalla palestra, ma la giovane non vi arriverà mai. Alle 18:44 il suo telefono aggancia la cella di Ponte San Pietro via Adamello settore 9, alle 18:49 la cella di Mapello, a tre chilometri da Brembate Di Sopra, e alle 18:55 aggancia la rete per l'ultima volta tramite la cella di Brembate di Sopra in via Ruggeri. Da quel momento, la tredicenne scompare misteriosamente. A tre mesi dalla sparizione, il 26 febbario 2011, il corpo martoriato di Yara viene ritrovato casualmente tra le sterpaglie di un campo aperto a Chignolo d'Isola, distante 10 chilometri circa da Brembate di Sopra in direzione sud-ovest. Sul cadavere vengono rilevati numerosi colpi di spranga, un trauma cranico, una profonda ferita al collo e almeno sei ferite da arma da taglio.

L'arresto e la condanna di Bossetti

Il 16 giugno 2014 viene arrestato Massimo Giuseppe Bossetti, un muratore 44enne di Mapello fino a quel momento incensurato. A lui si arriva per la sovrapponibilità del Dna nucleare con quello di "Ignoto Uno", rilevato sugli indumenti intimi di Yara e ritenuto dall'accusa l'unico riconducibile all'assassino, oltre che per la posizione, perché in zona colpita da arma da taglio. L'uomo nega ogni coinvolgimento nel misfatto ma la prova genetica lo inchioda definitivamente: è lui ad aver ucciso la giovane ginnasta.

Il 26 febbraio 2015 vengono chiuse le indagini. Per la procura non vi sono dubbi di alcuna sorta: il colpevole è Bossetti, unico indagato nel caso. La difesa ne chiede invece la scarcerazione, valutando poi l'opportunità del rito abbreviato, sostenendo che il Dna mitocondriale minoritario apparterrebbe ad un altro individuo, definito dagli avvocati "Ignoto 2". Ma il 1º luglio 2016 la Corte d'Assise di Bergamo condanna il muratore di Malpello all'ergastolo con l'accusa di omicidio, sentenza che sarà confermata in Cassazione il 12 ottobre 2018 con anche l'aggravante della crudeltà.

La nuova richiesta del pool difensivo

Non hanno intenzione di darsi per vinti i legali di Bossetti che, già ad agosto dello scorso anno, avevano chiesto di poter aver accesso ai reperti ritenuti "di secondaria o nulla importanza" dalla procura ai fini processuali. Oggi, il 51enne chiede alla Corte d'assise di Bergamo che "sia prima di tutto ripristinata la legalità", come ha dichiarato uno dei suoi legali, Paolo Camporini, ai taccuini dell'Ansa. I giudici si sono riservati di decidere sulla richiesta della difesa nelle prossime settimane.

Gli avvocati di Bossetti hanno parlato di "confronto acceso" in aula e hanno detto che la Procura ha definito "degli scartini" i reperti diversi dalla traccia 31G 20, con il Dna trovato sui leggins della ragazza ritenuta la 'prova regina' nel dibattimento.

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