Il "Casper Platoon" Italiano, in volo col 3° Corso Sanità

È una sequenza quasi da film: ai due lati del tratturo, fra un ruscello e una mandria di cavalli al pascolo, marciano formando una lunga colonna. Sono i militari in addestramento nel vento di Monteromano

Il "Casper Platoon" Italiano, in volo col 3° Corso Sanità

È stata lunga la notte dei Marescialli del 3° Corso Sanità. Lunga e sferzata dal vento gelido di Monteromano, luogo suggestivo di giorno un po’ meno quando cala il sole.

Hanno dormito in cavità di tufo e consumato un pasto frugale con le razioni da combattimento. Poi via, di nuovo in marcia…

“Devono raggiungere un punto e poi attendere il contatto” commenta il team della Scuola Sottufficiali dell’Esercito Italiano di Viterbo, dove i Marescialli si stanno formando. Laureatisi nelle università civili in professioni sanitarie, hanno poi vinto il concorso da sottufficiale. L’attività nel poligono laziale è parte del loro addestramento, un corso applicativo della durata di 16 settimane. Due le fasi di preparazione: la prima divisa nei moduli “Formazione del Combattente” (12 settimane) e “Formazione del Leader” (4 settimane). La seconda, di 8 settimane, si svolge presso la Scuola di Sanità e Veterinaria così da conferire una formazione tecnico – professionale al sottufficiale.

Lasciati i bivacchi la colonna si allontana. Sulle spalle lo zaino, in testa l’elmetto e sul volto il camouflage che la notte, quasi insonne, non ha scalfito della sua originale colorazione. I Beretta ARX e le FN Minimi puntano verso il basso mentre i Marescialli risalgono un lungo pendio, seguendo un VM90 e un’ambulanza tattica.

È una sequenza quasi da film: ai due lati del tratturo, fra un ruscello e una mandria di cavalli al pascolo, marciano formando una lunga colonna.

Un chilometro, forse meno e la quiete è interrotta da scariche di mitra.

No, non è il contatto ma un gruppo di insorgenti che carica sparando all’impazzata. La reazione dei Marescialli è immediata: fuoco con le armi individuali e con la mitragliatrice di squadra e gli avversari che cadono uno dietro l’altro. Cadono: è bene ricordare che la battaglia è combattuta con armi a salve, ma la tensione è comunque visibile sui volti dei sottufficiali. In fondo quella è una prova valutativa di quanto appreso nei corsi teorici alla Scuola ed è bene dare una buona impressione di sé, specie quando il giornalista accanto punta l’obiettivo e il team di osservatori (un Maggiore e un Colonnello) segue con attenzione…

Nel nostro servizio dedicato al Corso SERE (dicembre 2018) vi avevamo parlato di un “film”. Ecco, il film non è Full Metal Jacket, né un’opera di fantasia che finirà sul red carpet di Venezia. E’ un termine tecnico che indica la “trama” dell’esercitazione, prefiggendo anche il fine della stessa. A Monteromano la parola la chiave del “film” è l’evacuazione sanitaria del ferito, MEDEVAC, con l’ausilio di un aeromobile. Il

Medical Evacuation nasce già nel tardo Ottocento, quando palloni aerostatici evacuano soldati feriti durante la guerra franco-prussiana.

Ma il vero battesimo del MEDEVAC sono Indocina (1946-1954) e Corea (1950-1953). E’ in Asia infatti che gli eserciti occidentali si rendono conto della grande capacità degli elicotteri nel raggiungere zone impervie, caricare i feriti e le squadre in territorio nemico, decollare e atterrare poco dopo negli ospedali da campo.

In Corea nasce il M*A*S*H* (Mobile Air Surgical Hospital) poi protagonista, due decenni dopo, di una curiosa pellicola con Donald Southerland e con Robert Duvall, segno di quanto quella specialità medica fosse entrata nell’immaginario collettivo statunitense. In Indocina invece i francesi sfruttano la loro flotta di UH-12A, Sikorsky WS-51, Dragonfly, Sikorsky H19 per soccorrere i soldati feriti nella giunga e nelle grandi pianure vietnamite.

Negli Anni Sessanta è ancora una volta il Vietnam a palesare la centralità MEDEVAC. Qui a svolgere il ruolo da leoni ci sono gli UH-1 Iroquois, aeromobili della Bell diventati icona del conflitto nel sud-est asiatico.

E 50 anni (e svariati film di guerra dopo) non è difficile immaginare l’emozione di militari e giornalista nel vedere spuntare l’Iroquois sui cieli di Monteromano.

Aeromobile versatile, l’Agusta Bell 205 (in Europa è prodotto su licenza) è una macchina versatile e longeva, in volo dagli Anni ’50 e ancor oggi apprezzato da molti paesi. Anche dagli USA che non lo hanno mai completamente abbandonato: piccolo e “compatto” si mostra affidabile quanto il suo più celebre e blasonato “nipote”, il Black Hawk.

In forza all’Aviazione dell’Esercito (che proprio a Viterbo ha il suo Centro Addestramento), il piccolo “205” compie due veloci virate nel cielo prima di adagiare i pattini sul punto di atterraggio.

I motori restano accesi mentre il co-pilota (tuta di volo addosso e visiera del casco abbassata) raggiunge rapido il ferito e i suoi commilitoni.

I Marescialli hanno cercato di intervenire per quanto potuto ma, in una situazione reale, l’ausilio dell’elicottero segnerebbe il limite fra la vita e la morte.

Barella sollevata, i commilitoni accompagnano il collega verso l’elicottero. Seguono il co-pilota a passo veloce e a testa bassa per non essere investiti dallo spostamento d’aria delle pale. Il ferito è disteso parallelo all’asse dell’aeromobile, mentre i militari entrano dall’altro lato chiudendo dietro di sé i due grandi portelloni scorrevoli.

I motori vanno al massimo e l’erba intorno sembra chinarsi di fronte alla potenza della turbina Avco Lycoming che spingerà l’AB nel cielo ad una velocità di crociera di 180 km/h. Quanto basta per arrivare in tempo e per “salvare" la vita al Maresciallo .

Terminata l’attività i militari tornano verso la Scuola, dove li attendono un debriefing e ancora aula (dura la vita del Sottufficiale, che vi credete!). Ma il “205” non ci sta a chiudere così la giornata: si solleva, schizza in avanti e compie una virata stretta che lo porta ancora sopra il team di Marescialli.

Poi, di nuovo in alto e subito giù col muso in uno spettacolare volo tattico che, a distanza, pare quasi sfiori il terreno.

Una capacità richiesta ai piloti dei nostri aeromobili, noti in tutto il mondo per l’elevata professionalità in esercitazione e in reali contesti di crisi.

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