Una sentenza che farà certamente giurisprudenza quella pronunciata dalla corte di Cassazione, secondo la quale per integrare il reato di abbandono di animali non è necessaria la volontà di infliggere lesioni o provocare loro patologie ma è sufficiente tenerli in condizioni incompatibili con la loro natura.
Nel caso di specie, come rilevato dal sito di notizie giuridiche Studio Cataldi, gli Ermellini hanno analizzato attentamente il caso di un uomo che deteneva presso il suo piccolo appartamento 7 cani delle razze Husky e Samoiedo (2 adulti e 5 cuccioli). Il proprietario li nutriva e con altrettanta regolarità li portava a spasso ma le anguste dimensioni dell'immobile (40 mq), le precarie condizioni igieniche nelle quali versava la casa e una luminosità naturale completamente assente hanno fatto sì che per i giudici della Suprema Corte il reato si sia comunque configurato. Leggendo la sentenza che ha condannato l'uomo (la numero 39844/2022), si può vedere nelle motivazioni che "non occorre che gli animali si ammalino per ritenere integrato il reato, ma si verifica anche quando gli animali vengono privati di luce, cibo e acqua, quando vengono detenuti in precarie condizioni di salute, nutrizione e igiene, non rilevando a tale fine una precisa volontà del soggetto agente di infierire sugli stessi o di provocargli lesioni".
Nel nostro Paese da diversi anni ormai i reati contro gli animali, in tutte le loro forme, sono vietati e puniti dal Codice penale, il quale prevede la reclusione da tre a diciotto mesi o una multa il cui importo
può variare da un minimo di 5mila fino ad arrivare a un massimo di 30mila euro. Queste pene aumentano della metà se chi si macchia di crimini così spregevoli arriva coi suoi comportamenti a causare il decesso dell'animale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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