Chi è e cosa sa davvero Cecilia Marogna, la collaboratrice del Vaticano arrestata l'altro ieri? Quali sono i suoi reali rapporti con i servizi segreti italiani? E qual è stato il suo ruolo nella trattativa per i due ostaggi italiani in Mali liberati nei giorni scorsi? Sono queste le domande vere che andrebbero poste, a quarantott'ore dall'arresto della Marogna. Perché alle spalle della vicenda, dietro la scorza tra il truffaldino e il boccaccesco con cui viene raccontata in queste ore, dietro i rapporti tra la Marogna e il cardinale Giovanni Becciu, si intravede qualcosa di più sostanzioso, una sorta di guerra di spie che coinvolge i vertici passati e presenti dei nostri servizi di intelligence, ma anche i servizi vaticani, qualche circolo massonico e una società svizzera di intelligence improvvisamente sparita dai radar.
Che la Marogna abbia lavorato a lungo per l'Aise, il nostro servizio segreto estero, ai tempi in cui alla sua testa c'era il generale Luciano Carta, lo conferma più di una fonte. Al centro del suo attivismo, i tentativi di agganciare i clan islamici responsabili del sequestro in Mali di padre Pierluigi Maccalli e di altri ostaggi occidentali. Per le sue attività in zona, la Marogna sarebbe stata aiutata finanziariamente sia dai servizi italiani che dal Vaticano, che a riportare a casa il missionario non aveva mai rinunciato. Erano contatti reali, quelli di cui parlava la donna con i suoi referenti in Italia? Lei, ovviamente, sostiene di sì. E sostiene di avere le prove documentali di quanto afferma: un video che documenta l'esistenza in vita di padre Maccalli, girato mesi prima di quello che è poi arrivato in Italia. La Marogna, secondo la sua versione, sarebbe arrivata a un passo dal chiudere l'accordo con i sequestratori. E aggiunge un dettaglio: nel pacchetto di liberazioni, sarebbe stato inserito anche il rilascio di Gloria Cecilia Narvaez, la suora colombiana sequestrata in Mali nel 2017. Per l'Italia, riuscire a riportare a casa la religiosa sudamericana avrebbe comportato un vantaggio collaterale: l'impegno del governo colombiano a collaborare per la verità sull'uccisione di Mario Paciolla, l'operatore dell'Onu trovato morto nella sua casa di San Vicente del Caguan nel luglio scorso. Un caso per molti aspetti simili all'assassinio di Giulio Regeni al Cairo, ma rapidamente sparito dai media italiani.
Adesso che la Marogna è in cella a San Vittore (dove non è stata ancora interrogata, ma a chi l'ha incontrata è apparsa tonica e combattiva) approfondire questa storia, verificarne la fondatezza, diventa difficile. Come pure scavare sull'altro dettaglio di cui in questi giorni si fa un gran parlare: quello secondo cui a troncare bruscamente i rapporti tra Aise e l'analista sia stato Giovanni Caravelli, il nuovo capo subentrato a Carta. «Abbiamo metodi diversi», avrebbe fatto sapere Caravelli alla donna, rifiutandosi di incontrarla. Alla liberazione di padre Maccalli si è arrivati comunque. E insieme al religioso è stato liberato anche Nicola Chiacchio, l'altro ostaggio di cui le cronache hanno parlato sbrigativamente come «turista», ma che in realtà sarebbe stato anche lui utilizzato dai nostri 007 (area Caravelli) come fonte nell'area.
In questo scenario complesso, resta da capire dove e come inizi - prima del precipitoso tonfo dell'altro ieri - l'ascesa di una analista autodidatta come la Marogna, arrivata fino alle stanze più segrete del Vaticano e ai contatti con i vertici dell'intelligence.
A opporsi inizialmente al suo sbarco a Roma sarebbero stati anche ambienti legati alla massoneria, in particolare a un personaggio noto per la attività di relazioni pubbliche per i «grembiulini». A sua volta collegato a un gruppo di security svizzero, la Brasidas, dietro il quale si muoverebbero anche alti gradi dei servizi italiani.
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