Ciarlatani e ballerine. La giostra del vacuo di stampa e televisione

Ci dicono gli psicologi delle masse che non sia poi il caso di far esplodere la tensione geopolitica anche sul divano di casa. Ma credo che sarebbe anche ora che le televisioni e i giornali sto parlando di chi ci lavora - facciano prevalere l'istinto di sopravvivenza, dato che se procedono con questa inerzia sibaritica si seppelliranno da soli

Ciarlatani e ballerine. La giostra del vacuo di stampa e televisione

In teoria siamo tutti informati che il mondo rotola, allora perché le tivù e i giornali sculettano, ci afferrano e ci sdraiano a bagnomaria nella noia? Certo che teleschermi e pagine a colori mostrano e scrivono di panzer e di soldati, ma l'esito appare studiato perché la drammaticità degli eventi si sciolga nella inconsistenza brodosa della tipica estate della pigrizia. Ovvio. Non c'è nessuna cospirazione di pensatori che si sia radunata per ipnotizzarci. È una combinazione di stupidità spontanea. È la natura umana. Ma almeno chi la sorbisce, il famoso popolo bue, una cornata di ribellione dovrebbe tirarla. Bisognerebbe ribellarsi a questa minestrina.

Ci dicono gli psicologi delle masse che non sia poi il caso di far esplodere la tensione geopolitica anche sul divano di casa. Ma credo che sarebbe anche ora che le televisioni e i giornali sto parlando di chi ci lavora - facciano prevalere l'istinto di sopravvivenza, dato che se procedono con questa inerzia sibaritica si seppelliranno da soli. Bisognerebbe rammentare che il primo requisito perché un potenziale consumatore regali tempo alle tivù e sganci denaro per un quotidiano, sia suscitare curiosità. Se perdono spettatori clienti come gli acquedotti siculi, è vero sì che i nuovi strumenti tecnologici attirano di più per la facilità d'uso. Ma la molla per decidere se afferrare una trappola elettronica, schiacciare il telecomando o afferrare un foglio resta qualcosa di primordiale: la curiosità. Oggi sembra ci sia un complotto per negarla. Fornisco esempi.

Il rischio di guerra invece di tradursi in notizie su che cosa succederebbe a noi italiani in caso di furore putiniano o americano, induce a dotte analisi sull'Iran o alla tentazione di Netanyahu di rifugiarsi nel bunker a prova di atomica. Possibile che la nostra sorte non interessi? Cosa ci conviene fare? Dove ci mettiamo, in cantina? Non è questa la domanda urgente che ci viene proposta dall'apparato informativo, ma quale sia e in che consista la abissale differenza tra il pomodoro pachino e quello ciliegino sì, ma giallo. Non lo sapete? Risponde lo chef stellato di Pozzuoli, incurante del bradisismo sismico che cerca di svegliare il Vesuvio. Dopo di che si passa al caro ombrelloni di Fregene e al triste futuro dei bagnini di Forte dei Marmi. Chi è al mare già lo sa che sono cari, e chi non ci va, è portato a impiparsene. La cronaca nera, quella sì che attrarrebbe, e sarebbe un diversivo eternamente calamitoso e calamitante. La sciatteria di chi ne tratta però demoralizza. Ho visto e udito un servizio di un Tg, prima serata, vigilia di Ferragosto, sull'assassinio a coltellate nella schiena della povera Sharon Verzeni. La redazione sosteneva che «dopo due anni» non c'era alcun indagato. Ehi, l'omicidio di Sharon è stato il 30 luglio scorso. Mi aspettavo che il direttore o un vice balzasse davanti alla telecamera e correggesse. O non si sono accorti o hanno preferito non farlo notare. Non so cosa sia peggio. La sciatteria domina.

E i programmi di vario spettacolo e umanità? Un mare di repliche e ritagli d'archivio, un vero e proprio rifugio per la mediocrità. Il piccolo schermo diventa d'estate un museo delle cere. I reality show, i talent e le sitcom riemergono dalle ceneri. Per salvarsi da una replica di Ciao Darwin con natiche ignude d'ordinanza, o dalle Te-che-te-che-tè, anzi tiè, viene naturale agire con i tasti per scorrere tra i canali. L'80 per cento dei programmi sono a base di cuochi, polpette, sughi, gente vestita di bianco come il Papa ma per benedire il risotto scotto. Intanto il Papa vero è emarginato perché ha il torto di ricordare il mondo lacerato, mentre i guru della polenta con lo zenzero e le patate viola costruiscono dei drammi autentici sul tempo di cottura dello gnocco tirolese come se invece di essere in una pizzeria di Abbiategrasso fossero a Gaza. Logico a questo punto davanti all'invasione d'Italia da parte di Cannavacciuolo e Vissani, la Meloni pensi a un rimpasto frugale. Temo che invece del ministro della Cultura provvederà a un ministro della Cottura.

E i quotidiani? Vanno forte le interviste alle attrici con l'età del dattero, più che primi passi rievocano le prime tette, successivamente plastificate. Riecco le stragi rievocate, i misteri che nessuno legge più da decenni.

Su una cosa, televisione, politica e giornali hanno marciato all'unisono verso l'assoluta vacuità. Le Olimpiadi. Le rimembravo come qualcosa di epico, un paragone con la guerra, l'unico modo per evitarla combattendo dentro regole serene. Macché: la guerra è stata lasciata a sé stessa, a farsi i fatti propri, annegata nella sua pozza di sangue. Alluvione invece di lacrime parigine. Quest'anno ha tenuto banco il durissimo confronto tra i fautori del terzo e quelli del quarto posto. Perché chi arriva terzo sale sul podio e ottiene la medaglia di bronzo, e invece chi arriva quarto non ottiene nulla ed è emarginato? Uno avrebbe risposto una volta: perché ha perso. Ma è eticamente giusto perdere? O forse ha veramente vinto chi ha perso? A fare da arbitro in questa diatriba sul senso della vita è stato chiamato Sergio Mattarella, che ha stabilito come un Salomone che, in fin dei conti, arrivare terzi o quarti non fa poi tanta differenza. C'è del buono sia nel terzo che nel quarto posto. Così per la prima volta nella storia accoglierà gli esclusi dal podio includendoli nel ricevimento al Quirinale. L'Olimpiade, l'inclusione! Ma cosa farne dei quinti? Perché discriminarli?

Siamo tornati ai discorsi sul sesso degli angeli a Bisanzio, mentre i Turchi erano alle porte.

Ricordo il Processo alla

tappa di Sergio Zavoli. Restò famosa la frase del corridore illetterato, gregario vittorioso: «Sono contento di essere arrivato Uno». Era l'Italia del merito, credo. Vera cultura e poca cottura. Bisognerebbe risvegliarla.

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