La cittadinanza non è un diritto fondamentale

La propaganda progressista fa coincidere i diritti di cittadinanza con i diritti umani. Falso. In Italia i diritti umani specie quelli dei "fanciulli" (l'Onu si esprime così) sono garantiti già ora

La cittadinanza non è un diritto fondamentale

Leggere la prima pagina di la Repubblica, come scriveva Giovannino Guareschi a proposito de L'Unità di Togliatti, è «molto istruttivo». Consente di capire la logica dei nuovi trinariciuti. Mette tristezza per lo sprofondare dell'intelligenza dei nostri avversari, perché battere la stupidità non dà gloria a nessuno, ma almeno ci rassicura: con nemici così Giorgia Meloni può camminare tranquilla, sempre che i suoi alleati non decidano lotte suicide tipo lo ius scholae, parente stretto dell'idiozia sulla cittadinanza facile che la sinistra intende assegnare a chiunque si affacci in Italia, onde ridicolizzare il significato di quel che significa essere italiani.

Ma torno al quotidiano degli Agnelli, diretto dal bravo Maurizio Molinari, che ebbi l'onore di assumere all'Indipendente, ma che oggi dev'essere in balia di un soviet. Il titolo che mercoledì ha riempito la copertina tuona come un cannone: «Valanga di firme». L'antecedente letterario è il Bollettino della Vittoria del generale Armando Diaz, 4 novembre 1918, stesso trionfalismo. Manca, è vero, la frase sulla «fulminea e arditissima avanzata», ma siamo lì. La sinistra vi è celebrata per aver indotto in un battibaleno i suoi adepti a superare il mezzo milione di sottoscrizioni necessarie per sottoporre a referendum l'abrogazione della legge che impone ai cittadini stranieri di aver vissuto onorevolmente almeno dieci anni in Italia per richiedere e ottenere la cittadinanza, con relativo passaporto e connessi privilegi. Secondo i firmatari ne dovrebbero bastare cinque. Nessun esame di adesione a valori e storia, oltre che lingua. Un banale passaggio burocratico.

La scelta di indire il referendum di questo tipo non è un errore marginale, una specie di optional tra le tante idee bislacche di Elly e compagni, ma è il cuore stesso dell'ideologia progressista. Si chiama «battaglia dei diritti». Ne nega uno essenziale: quello di un popolo ad essere se stesso, alla legittima difesa della propria identità, e al dovere dello Stato di garantire quel minimo di sicurezza sociale e personale che andrebbe a ramengo qualora fosse sancito il «diritto all'invasione» (così lo chiamava, contrastandolo, il vescovo Maggiolini) che sarebbe così assegnato ai forestieri. Vado più in là, e sostengo che anche i disgraziati africani, asiatici e latinoamericani hanno diritto a non essere truffati da questi giocolieri del destino altrui, i quali finiscono per far credere che la cittadinanza assegnata equivarrebbe alla partecipazione ad un Bengodi, legittimando e stimolando i traffici di migranti clandestini.

Oltretutto, questo processo abrogativo che sono certo fallirà è basato paradossalmente su un abuso del diritto. Oggi basta, come prevedeva la Costituzione entrata in vigore nel 1948, mezzo milione di firme per indire un referendum. Una fatica improba, tavolini, notaio, ufficiali giudiziari, la visibilità del gesto, mostrandosi ai compaesani. Grazie a un emendamento approvato dal parlamento nel 2021 adesso è possibile raccogliere le firme su una piattaforma digitale. Un clic e via, come un cuoricino su un tweet. Facile facilissimo in questo modo trasformare la democrazia diretta in una barzelletta, in grado peraltro di bloccare la democrazia parlamentare e quella esecutiva, una specie di allargamento di blocco dei lavori che finora è stata una prerogativa del Tar per fermare gli appalti.

Ma, per tornare ai contenuti, e a chi ritiene sia una faccenda di civiltà e umanesimo garantire a tutti i diritti di cittadinanza, è il caso di svelare un inganno. La propaganda progressista fa coincidere i diritti di cittadinanza con i diritti umani. Falso. In Italia i diritti umani specie quelli dei «fanciulli» (l'Onu si esprime così) sono garantiti già ora. Quelli di cittadinanza sono un'altra cosa, non sono quelli fondamentali, e riguardano l'adesione a qualche cosa di unico: e che è il carattere interiore, il sentimento comune di un popolo riguardo ad alcune poche questioni essenziali, che vengono prima delle opinioni politiche.

Ho apprezzato a questo riguardo il discorso di Giorgia Meloni in America (otto minuti) al ricevimento del premio da parte di Elon Musk. La quale ha spiegato molto bene la sua idea di patria e di nazione. E di come il compito decisivo della politica sia oggi quello di salvare i popoli occidentali dal cancro che ne divora l'anima. Lei lo ha chiamato «oicofobia» e ne ha fatto risalire l'origine a un filosofo inglese, Robert Scruton. Mi sono ricordato di essere stato uno dei primi ad aver citato autore, formula e significato. E scusate il vezzo di riprendere un pezzettino del mio libro Non abbiamo abbastanza paura dedicato all'Islam e al suo tentativo di sottometterci. Scrivevo nel 2015: l'idea che domina (i progressisti) è questa: «la nostra identità sarebbe di essere senza identità, di essere totale apertura all'identità degli altri.

Il filosofo Robert Scruton, uno dei pensatori della nuova destra, chiama questo fenomeno oicofobia. Odio della propria casa». Confermo. Come diceva un bigliettino dei Baci Perugina prima del gender e della Schlein: «Meglio l'amore».

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