Mancano ancora 48 ore al battesimo delle Camere - appuntamento per la fiducia domani in Senato e giovedì alla Camera - e già Mario Draghi è costretto a districarsi nelle prime fibrillazioni di una maggioranza che più eterogenea non poteva essere. La consapevolezza che non sarebbe stata una strada in discesa il neo premier l'ha sempre avuta, fin dal giorno in cui Sergio Mattarella lo ha chiamato per prospettargli l'incarico a formare il nuovo governo. Probabilmente, però, non si aspettava una tempistica così stringente, con un fronte aperto ancor prima che il nuovo esecutivo fosse nel pieno delle sue funzioni grazie all'investitura del Parlamento.
Invece, già da domenica scorsa, la politica è tornata sull'ottovolante. Provando a sgomitare e cercando di ritagliarsi fin da subito un ruolo, dopo essere stata inghiottita dall'avvento dell'era Draghi (più subita che sinceramente condivisa). I partiti, infatti, non erano nelle condizioni di poter mettere veti all'ex presidente della Bce, certamente la figura più autorevole che l'Italia possa vantare sul piano internazionale. E così hanno dovuto accettare le sue scelte, soprattutto quelle relative alla squadra di governo. Per nulla condivise con i leader, soprattutto per Lega e Forza Italia (partiti, per ragioni diverse, non a caso in ebollizione). Di qui l'agitazione del centrodestra, strisciante quella degli azzurri, più evidente quella del Carroccio. Domenica sera, per dire, Draghi e Matteo Salvini hanno avuto un lungo colloquio telefonico che non è stato però sufficiente a sminare lo scontro sullo stop in zona Cesarini alle attività sciistiche. Anzi, se l'altro ieri il leader della Lega si era ben guardato dall'attaccare frontalmente il riconfermato ministro della Salute Roberto Speranza, ieri ci ha pensato il leghista Massimo Garavaglia, neo titolare del dicastero del Turismo, ad affondare il colpo: «La normativa attuale prevede, per assurdo, che il ministro competente possa prendere le decisioni in autonomia». «Per assurdo»: un messaggio diretto anche a Draghi, visto che è altamente improbabile che Speranza si sia preso la briga di firmare l'ordinanza che vieta lo sci fino al 5 marzo senza condividerlo con il premier.
Che poi, fosse questa l'unica tensione. C'è stato il neo ministro del Lavoro Andrea Orlando che ha convocato le parti sociali forse con un po' troppa fretta, almeno così dicono alcuni rumors di Palazzo Chigi. Come c'è stata la polemica su Renato Brunetta e le sue posizioni contrarie allo smart working dei dipendenti della Pa, ieri tema di polemica con il M5s e con il nuovo ministro della Pubblica amministrazione che ha dovuto precisare che quelle erano posizioni che risalivano a mesi addietro. Un caos, insomma. Frutto di una maggioranza «distopica», al punto che ieri si sono incontrati «per parlare di lavoro» Salvini e il segretario del Pd Nicola Zingaretti.
Insomma, è di tutta evidenza che - nonostante il cappello dell'autorevolezza di Draghi e del Quirinale - gli equilibri politici sono e saranno complicati. Non è un caso che l'invito alla «coesione» fatto dal premier sabato scorso nel primo Consiglio dei ministri, sia già caduto nel vuoto. Con un certo fastidio di Draghi, che è inciampato in queste liti proprio mentre stava limando il discorso programmatico del suo governo da illustrare domani in Senato. Appuntamento chiave, come lo sarà venerdì la partecipazione al G7 sui vaccini convocato da Boris Johnson. Sarà l'esordio internazionale dell'ex presidente della Bce come presidente del Consiglio, alla presenza - tra gli altri - di Joe Biden, Angela Merkel e Emmanuel Macron. Forse anche per questo pure al Quirinale pare non abbiano gradito la grande «confusione» di queste ore.
Si dice che «la forma è sostanza», è vero.
Ma, sia a Palazzo Chigi che sul Colle, sanno bene che gli schiaccianti numeri che certamente otterrà il governo Draghi - domani al Senato e giovedì alla Camera - non saranno sufficienti a salvaguardarlo dalle insidie della politica.
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