Giuseppe Conte capitolerà questa mattina. Sette giorni di ostinata campagna acquisti non sono infatti serviti a far tornare i numeri del pallottoliere del Senato, sempre - e inesorabilmente - fermo a quota 156. Il problema resta lo stesso: i cosiddetti costruttori sono disponibili sì a «ragionare», ma solo dopo un passaggio del premier al Quirinale. Un gesto di «discontinuità» che legittimerebbe politicamente i nuovi senatori in entrata, ovviamente in nome del superiore interesse del Paese. E che archivierebbe il Conte 2, con la giostra delle poltrone - ministri, viceministri e sottosegretari - che ripartirebbe da zero.
Così, dopo una giornata di passione, il presidente del Consiglio ha deciso di arrendersi all'evidenza dei numeri e ha fatto sapere che questa mattina salirà al Colle per dimettersi. Fosse stato per lui, ci mancherebbe, avrebbe tergiversato ancora, magari settimane. Ma entro venerdì i due rami del Parlamento erano chiamati a votare la relazione sulla Giustizia del ministro Alfonso Bonafede e il rischio di andare sotto - decretando ufficialmente la morte del governo - era altissimo. Così, Conte ha provato a sminare il passaggio parlamentare, immaginando che il Guardasigilli facesse una relazione più morbida - magari con un passo indietro sulla prescrizione - per riuscire a raccogliere qualche voto anche tra i centristi-costruttori e dentro Italia viva. È a questo punto, però, che il M5s si sarebbe messo di traverso. A partire da Lugi Di Maio, improvvisamente folgorato dal movimentismo duro e puro delle origini. Nessuna concessione e nessun passo indietro di Bonafede, è stato il messaggio recapitato a Palazzo Chigi. Così, alla fine, il passo indietro ha dovuto farlo Conte, che - almeno - con le dimissioni riesce a far saltare il voto di Camera e Senato sulla Giustizia. Con un malcelato fastidio del Pd, che era invece d'accordo con il premier sul tentare di ammorbidire la relazione Bonafede per renderla digeribile a centristi e renziani.
Oggi, dunque, le dimissioni di Conte. E da domani le consultazioni al Quirinale, la cui tempistica - dicono dal Colle - sarà il più possibile rapida, ma dipenderà anche dal quadro che verrà presentato a Mattarella negli inevitabili contatti informali di queste ore. Esattamente il punto di caduta che il premier uscente avrebbe voluto evitare, quello più rischioso. È chiaro, infatti, che - un minuto dopo aver deposto la corona nelle mani del capo dello Stato - l'autoproclamato «avvocato del popolo» dovrà fare i conti con quanti non aspettano altro che rimandarlo all'università. Matteo Renzi guida la truppa. E l'entusiasmo con cui ieri si godeva la nota di Palazzo Chigi che annunciava l'odierna salita al Colle del premier la dice tutta. «Mi davate per morto e guardate com'è finta...», gongolava il leader di Iv. Ma pure Di Maio, pare, non sarebbe così ostile a un nuovo corso a Palazzo Chigi. E la zeppa messa ieri su Bonafede sembra confermarlo. D'altra parte, i rapporti tra premier e ministro degli Esteri sono ai minimi storici da mesi. C'è poi, infine, il Pd. E il suo segretario Nicola Zingaretti, in questi giorni - fatta eccezione per ieri - molto sotto traccia e più propenso a far esporre i suoi consiglieri di fiducia. E il fatto che proprio ieri Goffredo Bettini sia tornato a chiamare in causa Renzi dopo il muro di questi giorni potrebbe lasciar pensare che pure a Largo del Nazareno stanno ragionando su come scaricare Conte. D'altra parte, che il premier dimissionario non accenda i cuori dei vertici del Pd e che un suo futuro partito possa togliere voti proprio ai dem non è un mistero per nessuno. Il punto, ovviamente, è solo uno: evitare di lasciare le impronte digitali sul killeraggio di Conte. E su questo Zingaretti non dovrebbe aver problemi, visto che è una settimana che non muove un dito e manda avanti - con certo fastidio di un pezzo importante del Pd - il fidato Bettini.
Insomma, avviate le consultazioni è praticamente scontato che Conte rischi di finire impallinato.
Anche se va detto che il premier uscente ha già più volte dato prova di grande tenuta e di una certa lucidità di movimento, soprattutto nei passaggi chiave. Non è un caso che, lo dovessero davvero far fuori, sia pronto ad invocare le elezioni anticipate.
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