Il Conte Ter è già finito

Il premier potrebbe ricevere il reincarico, ma un nuovo governo nascerebbe già morto per i veti di Renzi (e degli alleati)

Il Conte Ter è già finito

Davanti ad un famoso caffè della Capitale, il Sant'Eustachio, ad una cinquantina di metri dal Senato, Tommaso Nannicini, economista e senatore eretico del Pd, ammette una mezza verità che nessuno dice: «Tutta questa storia dei responsabili non si può vedere. Ma poi non capisco perché fare questa carnevalata quando tutti hanno capito come finirà: non c'è più Conte e non c'è un veto a Renzi. Ed è stata colpa del premier: ha fatto la prova di forza per costruire questo gruppo al Senato e i numeri scarsi hanno dimostrato solo la sua debolezza». A Montecitorio, invece, uno dei pochi imprenditori 5stelle (magari sarà l'unico), Michele Gubitosa, uno degli ultimi mohicani fedeli a Giuseppi, offre una prova di coraggio che travalica la politica e sfocia, parafrasando la Bibbia, nella religione: «Non avrà altro nome al di fuori di Conte: lo sappia Renzi». Due verità contrapposte. Così bisogna rivolgersi ad una parte terza, per scoprire qual è la verità e quale la bugia. «Fino a ieri confidava a Palazzo Madama, Ignazio La Russa avrei puntato sul Conte Ter. Ora non più. E Conte diventerà il più grande alleato del centrodestra per andare alle elezioni. Per cui avremo il paradosso che Berlusconi non vuole le elezioni e Conte sì. E alla fine, ancora una volta, vincerà il Cav».

«La strategia del ragno con la mosca», per ripetere un'espressione di Matteo Renzi, ha dato i suoi frutti: Giuseppi, «la mosca», muovendosi in questi giorni in maniera scomposta, ronzando tra rancori, veti e una ricerca disperata di senatori (ieri ha arruolato in prima persona il senatore forzista Vitalia promettendogli il ruolo di sottosegretario alla giustizia), ha finito per impigliarsi da solo nella ragnatela. Renzi, «spider», lo ha lasciato fare, è rimasto immobile, ha tenuto la posizione, lasciando che fosse il premier dimissionario a finire nella trappola da solo. Risultato: l'ex premier ora si trova appeso alla ragnatela del leader di Italia Viva. Prossimo passo: tentare di evitare che Conte abbia il reincarico. Oggi è probabile che il leader di Italia Viva faccia questo ragionamento su al Colle: nessuna pregiudiziale nei confronti di Conte, ma la strategia del suo governo sia sulla pandemia, sia sull'economia, compresa la politica portata avanti dal Mef dove c'è bisogno di una personalità autorevole che garantisca il nostro paese di fronte all'Europa (ieri gli uffici studi di Camera e Senato hanno demolito il recovery plan del governo), non è stata all'altezza. C'è un grande bisogno di «discontinuità», per cui sia nel caso di una riproposizione dell'attuale maggioranza, sia nell'ipotesi di un governo di «larghe intese» dal taglio istituzionale, il nome non può essere quello di Conte. «Non ci sono veti è il ragionamento che Renzi ha fatto con i suoi ma solo la constatazione che risponde ad una legge della politica: non esistono uomini per tutte le stagioni. E Conte ne ha interpretate già due, addirittura opposte». In fondo non potrebbe essere altrimenti: il premier dimissionario in un mese ha tentato di eliminare Renzi in tutti i modi; gli ha posto un veto e poi ha cercato di soffiargli i parlamentari. Ha tampinato anche un senatore renziano, Eugenio Comincini, che ora si è scoperto contagiato dal Covid, per cui ieri tutti gli emissari di Giuseppi verso il poveretto, si sono precipitati a fare il tampone. «Mentre in Parlamento assistiamo a un autentico scandalo - dice in un video postato sui social - una gestione opaca delle relazioni personali e istituzionali, assistiamo alla creazione di gruppi improvvisati» è il messaggio del leader Iv al premier. Che da quando si è aperta la crisi non ha provato nessun tipo di riconciliazione, nessuna telefonata, ha praticamente ignorato il suo avversario del momento. Perché ora il leader di Italia Viva dovrebbe consentirgli di tornare a Palazzo Chigi, offrirgli cioè il Potere che Conte potrebbe di nuovo utilizzare per eliminare «lo spider-man» della politica italiana? «Sapere nella guerra conoscere l'occasione e pigliarla scriveva il Nicolò Macchiavelli che l'ex sindaco di Firenze, da buon toscano, conosce a menadito - giova più che niuna altra cosa».

Appunto, l'occasione va colta. Questi i piani, le congetture, le citazioni della vigilia della partita che si comincerà a giocare oggi. Poi ci possono essere ripensamenti, ma l'occasione è ghiotta. Troppo, per sprecarla. «I margini ha spiegato ai suoi ieri sera ci sono tutti. Sarebbe un delitto non provarci. Eppoi Conte è un personaggio che coltiva sempre uno spirito di revanche».

Naturalmente l'operazione è tutt'altro che semplice, ma i margini, per dirla con «spider», ci sono. Ieri Zingaretti ha parlato ancora di Conte, di governo di «solidarietà nazionale» aperto a forze di tradizione europeista, non ha posto veti su Renzi, ma, soprattutto, ha rimosso del tutto nella sua relazione la parola «elezioni». Elezioni che, come dice La Russa, è l'ultima freccia disperata che Conte ha nel suo arco, magari contando sui «descamisados» contro Renzi del movimento, da Di Battista, a Toninelli, alla Lezzi. Ieri il reggente dei cinquestelle, Vito Crimi, ha spiegato così l'atteggiamento del premier dimissionario verso il personaggio che ha aperto la crisi: «Volete sapere perché Conte non cerca Renzi? Perché in un'ottica elettorale, presentarsi come quello che non si è piegato al compromesso con l'antipatico Renzi, sarebbe un punto di forza». Ai due interlocutori che gli ponevano dei dubbi sul fatto che Mattarella possa aprire la strada delle urne, il reggente dei cinquestelle ha dato un'altra versione dell'aria che tira sul Colle: «A noi dal Quirinale ci risulta altro».

Chi avrà ragione? Si scoprirà solo domani. Di certo c'è che tra le parole del Matteo che guarda a sinistra e l'altro, Matteo Salvini, che guida il centrodestra, c'è una comunanza di intenti. Domani, infatti, il centrodestra salirà al Quirinale per fare questo discorso: «Diremo a Mattarella ha spiegato Salvini - no ad un reincarico a Conte: quando non ci sarà più questo signore a Palazzo Chigi, ragioneremo di tutto il resto». Così, se tutto andrà secondo la strategia del ragno, alla fine del primo giro di consultazioni, sul nome di Conte non ci sarà una maggioranza in Parlamento. Si dovrà cercare un altro nome per esplorare le possibili soluzioni della crisi, si parli dell'ex presidente della Consulta Cartabia o dell'attuale commissario europeo Gentiloni.

E magari ci sarà qualche sorpresa: c'è una carta segreta, che solo Mattarella ha l'opportunità di tirar fuori, una carta che potrebbe imporre a tutti i protagonisti un salto di qualità nelle soluzioni da dare alle «alla crisi», più all'altezza delle emergenze del Paese: una politica economica che porti la firma di Mario Draghi, magari al Mef se non da Palazzo Chigi.

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