Anche un orologio rotto segna l'ora esatta due volte al giorno, diceva Winston Churchill. Quello della giustizia non si ferma mai, eppure il timing di certe inchieste stupisce sempre, soprattutto se chi dovrebbe respingere al mittente l'idea dell'(ennesima) entrata a gamba tesa delle toghe nella politica, soprattutto dopo lo scandalo scoppiato intorno all'ex leader Anm Luca Palamara, lo fa con mezze frasi, ammiccamenti, allusioni che, anziché chiarire, ingarbugliano, confondono, depistano. A nessuno sono sfuggiti i messaggi che Nicola Gratteri ha lanciato in due distinte interviste a Corriere e Repubblica a difesa dell'indagine sui rapporti 'ndrangheta-politica-imprese che ha squassato la Calabria. Prima nega di aver dato peso alle scadenze politiche, poi ci ripensa. Lo dice a proposito dell'ormai ex leader Udc Lorenzo Cesa, coinvolto nel guazzabuglio di promesse del rimpasto: «Fino all'altra sera gli ho sentito dire in tv che lui e l'Udc non sarebbero entrati nella maggioranza, quindi questo problema non si è posto». E se avesse detto il contrario? Non ne avrebbe chiesto l'iscrizione nel registro degli indagati? Per un reato - la cena con l'imprenditore Gallo, in odore di 'ndrangheta - del quale non ci sono riscontri di favori, scambi o promesse? «Sappiamo da altre conversazioni che in quell'occasione hanno discusso di appalti con Anas, Enel e altri enti statali». Chiacchiere de relato su cui «non si può stare fermi», e che però non valgono per Pier Ferdinando Casini, anche lui tirato in ballo ma fuori dall'indagine. Per ora, viene da pensare.
Ci sono delle accuse, pesantissime, ai magistrati di Catanzaro e della Cassazione. Gratteri affonda il colpo dopo l'accusa del giornalista di aver chiesto misure pesanti, poi cancellate in appello e in Cassazione: «Credo che la storia spiegherà anche queste situazioni». Senza esplicitarlo («Non posso rispondere»), Gratteri evoca delle inchieste in corso su qualche magistrato del suo distretto ma anche a Roma. «Frasi inaccettabili», dice infatti l'Unione delle camere penali. È vero, Catanzaro è un distretto in cui è difficilissimo lavorare. Citofonare all'ex pm Luigi de Magistris, colui che per aver indagato sul suo superiore - allora la Procura di Salerno di fatto «sequestrò» quella di Catanzaro - è stato cacciato dalla magistratura. Per aver detto molto meno sullo stesso Gratteri, Otello Lupacchini è stato cacciato alla velocità della luce da Procuratore generale. Cosa farà il Csm? Trasferirà Gratteri a Potenza come ha fatto con Vincenzo Luberto, uno dei vice del coraggioso pm antimafia, indagato per corruzione aggravata dal metodo mafioso per aver aiutato un esponente Pd? «Guarda caso lo stesso distretto di competenza di Gratteri», malignava ieri qualcuno. E già circolano nomi e sospetti nei corridoi dei palazzi di giustizia calabresi. Manca solo una faida tra toghe per offuscare la battaglia contro la 'ndrangheta che Gratteri e un manipolo di magistrati combattono da 20 anni e più.
C'è poi un passaggio che lascia interdetti: «Le elezioni in Calabria erano fissate per il 14 febbraio, avremmo aspettato il 15 per non interferire sulla campagna elettorale, ma poi sono state rinviate ad aprile: non potevo lasciare arresti in sospeso per decine di persone altri tre mesi». Già, le elezioni regionali.
Volente o nolente, la sua inchiesta ha già cambiato le carte in tavola, perché non solo ha messo in imbarazzo il centrodestra, farcito di personaggi fin troppo chiacchierati, ma perché di fatto ha spalancato le porte della Regione proprio a de Magistris, che oggi da candidato solitario a governatore reclama di averci visto giusto, quindici anni fa, quando indagò sugli stessi personaggi finiti nel mirino di Gratteri. A pensar male, ancora una volta un timing perfetto.
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