Colpo di scena nel processo per l'omicidio di Lidia Macchi, la studentessa di Cittiglio, in provincia di Varese, uccisa nel 1987. La Corte d'assise d'appello di Milano, infatti, ha deciso di riaprire l'istruttoria nel processo a carico di Stefano Binda, il 51enne condannato all'ergastolo lo scorso anno.
Secondo quanto riporta l'Ansa, i giudici hanno accolto la richiesta della difesa, che chiedeva di sentire nuovamente l'avvocato penalista Piergiorgio Vittorini e due consulenti grafologici. Infatti, uno delle prove a carico di Binda è una lettera, intitolata "In morte di un'amica", che il presunto killer avrebbe scritto alla famiglia della ragazza, il giorno dopo averla uccisa e che secondo gli inquirenti sarebbe stata scritta da Binda. Ma in primo grado, l'avvocato Vittorini aveva rivelato davanti alla Corte d'Assise di Varese di conoscere l'autore della lettera, rifiutandosi però di farne il nome e appellandosi al segreto professionale.
La prossima udienza è fissata per il 18 luglio, quando verranno ascoltati in aula, oltre al legale, anche due consulenti grafologi, uno dell'accusa e uno della difesa, che potrebbero indurre i giudici ad ordinare una nuova maxi perizia.
"Siamo molto contenti della riapertura dell'istruttoria, ci abbiamo puntato molto - ha detto il legale del'imputati-ci fa piacere che la Corte abbia deciso così per ragioni di tipo tecnico, processuale".
Lidia Macchi era stata uccisa il 5 gennaio del 1987, colpita da 29 coltellate e abbandonata nel gelo dei boschi attorno a Cittiglio. Secondo l'accusa, ad aver ucciso la ragazza sarebbe stato Binda, all'epoca suo amico e compagno di liceo che, prima di pugnalarla, l'avrebbe violentata.
L'architrave dell'accusa consiste proprio in quella lettera, che "contiene certe descrizioni e il riferimento a particolari che soltanto l’assassino poteva conoscere" e che le perizie grafologiche hanno attribuito all'indiziato, che però ha sempre negato di essene l'autore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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