I leader dei tre partiti di governo si sono incontrati ieri e hanno annunciato un «nuovo patto di governo», annuncio che più che indicare una svolta segna la fine della ricreazione estiva in cui ognuno è andato, a parole, un po' per la sua strada, seminando più che altro confusione. Si riparte con una agenda molto impegnativa sia sul piano interno (legge finanziaria) sia internazionale (nuovo governo europeo), ma per il Corriere della Sera il problema del Paese si chiama Roberto Vannacci, il generale tuttofare a cui ieri il quotidiano ha dedicato addirittura l'articolo di fondo di solito riservato ad analizzare, e se il caso criticare, le mosse dei grandi leader politici alle prese con i problemi del mondo. Inventato da La Repubblica - senza l'ossessiva campagna di stampa contro l'allora sconosciuto suo libro il generale sarebbe rimasto un anonimo militare -, è ora elevato a statista dal Corriere, secondo cui è una vergogna che Vannacci una volta eletto invece di dimettersi dall'esercito si sia messo solo in aspettativa, prassi peraltro comunemente utilizzata da magistrati, professori universitari e pure giornalisti rispetto alle loro professioni. Tassello dopo tassello, i grandi critici di Vannacci stanno costruendo gratis la sua fortuna, riservandogli attenzioni e onori - tale è un fondo del Corriere - un tantino sproporzionati, detto con rispetto, all'attuale ruolo dell'uomo. Aspettativa? Ma anche chi se ne frega, fino a che a norma di legge, della vita privata di Vannacci, sulla quale ognuno può pensarla come crede. Io per esempio credo che il problema principale del generale non sia l'aspettativa, bensi la mancanza di un sarto: veste camicie e giacche anni Sessanta-Settanta davvero inguardabili nella forma e nei colori (tanto meno negli abbinamenti), probabilmente le stesse che aveva nell'armadio quando da ragazzo mise per la prima volta la divisa per mai più toglierla.
Se davvero Vannacci è il diavolo - come in parecchi lo dipingono - beh assomiglia molto al protagonista de L'avvocato del diavolo, il film in cui il diavolo alla fine vince sfruttando la vanità dei suoi rivali. «La vanità, il mio peccato preferito», dice alla fine il diavolo soddisfatto. Già, Vannacci ha capito che i giornalisti sono vanitosi, e su questo, scommetto, costruirà la sua fortuna.
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