Negli uffici della procura di Agrigento l’estate appena trascorsa non verrà dimenticata facilmente. Il caso Mare Jonio, l’affaire Sea Watch, l’arresto e poi la scarcerazione di Carola Rackete, negli ultimi mesi l’edificio che ospita il tribunale della città dei templi rimane costantemente sotto i riflettori nazionali e non solo.
Ed in questo mercoledì, all’interno delle stanze della procura torna a riecheggiare il caso più spinoso, quello per l’appunto che riguarda la Sea Watch. Da qui viene emesso nelle scorse ore l’atto formale di restituzione che segna la fine del sequestro probatorio della Sea Watch 3, la nave dell’Ong tedesca comandata a giugno da Carola Rackete.
Tutto risale ai giorni più caldi dell’estate sul fronte migratorio: il 12 giugno, a circa 70 km dalle coste libiche, l’imbarcazione dell’Ong soccorre 50 migranti in difficoltà. In quella settimana è in discussione in parlamento il decreto sicurezza, la norma con il quale l’allora ministro dell’interno Matteo Salvini fissa pene e multe salate per le imbarcazioni delle Ong che portano in Italia i migranti.
Dal Viminale viene subito emanato un divieto di accesso in acque italiane, la Sea Watch rimane per circa due settimane in prossimità dell’ingresso nella zona di nostra competenza con a bordo le persone recuperate a largo della Libia. Il 26 giugno la capitana della Sea Watch 3, Carola Rackete, proclama lo stato di necessità ed entra in acque italiane, contravvenendo al divieto imposto dal ministero dell’interno. Ancora pochi giorni e, all’imbocco del porto di Lampedusa, Rackete forza il blocco colpendo anche una motovedetta della Guardia di Finanza e fa il suo ingresso sull’isola.
Per questa azione, Carola Rackete viene arrestata, mentre la Sea Watch 3 viene posta sotto sequestro ed ancorata a Licata. La storia poi racconta uno dei casi maggiormente controversi durante la breve era del governo gialloverde, che culmina con la scarcerazione della Rackete ordinata dal Gip di Agrigento, Alessandra Vella.
Passa l’estate, passano le settimane, cambia anche il governo, la Sea Watch 3 rimane ancorata nel molo commerciale del porto di Licata. Forse anche gli impiegati della stessa Procura si dimenticano ad un certo punto di avere sotto custodia la nave. Oggi, per l’appunto, arriva il dissequestro deciso dai magistrati che coordinano le inchieste su quei fatti di fine giugno. Un’indagine che vede Carola Rackete indagata sia per aver forzato il blocco, che per favoreggiamento dell’immigrazione.
Ma la Sea Watch 3 non può riprendere alcuna attività: su di essa infatti, pende un fermo amministrativo emanato lo scorso 2 settembre. A confermarlo, come rivela l’AdnKronos, è una nota della stessa Ong tedesca: “Ci è stato notificato il sequestro cautelare amministrativo della nave – si legge nel comunicato – insieme ad una nuova sanzione amministrativa di 16.666 euro, cui Carola Rackete e Sea-Watch sono obbligati in solido. Se confermata dal Prefetto, tale misura segnerebbe la definitiva confisca della nave”.
Per tal motivo il dissequestro arrivato nelle scorse ore agita ulteriormente i membri della Sea Watch, a partire dalla stessa Carola Rackete: “'Questo sequestro è una perdita di tempo ingiustificabile e un abuso volto a impedire gli sforzi per salvare vite – afferma la ragazza tedesca su cui pendono ancora le indagini della Procura – Se i governi non agiscono, come cittadini europei dobbiamo fare in modo che nessuno muoia in mare, almeno fino a quando non ci sarà un adeguato dispositivo di soccorso e alternative sicure e legali alla migrazione, non nelle mani dei trafficanti''.
L’avvocato che assiste la capitana Rackete, Alessandro Gamberini, appare ancora più netto: “Questo sequestro cautelare amministrativo è palesemente illegittimo, alla luce dello stesso decreto sicurezza bis nella sua prima versione”.
Per Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch, occorrerebbe in realtà indagare su altri e non sulla Rackete o sull’Ong: “'La legge sul pacchetto sicurezza – afferma in una nota rilanciata dalle agenzie – calpesta il dovere di un comandante di portare in salvo naufraghi soccorsi in mare e colpisce la dignità di un Paese che oggi considera una nave che salva vite, adempiendo a un dovere di legge e a un obbligo morale, come una minaccia alla sicurezza e all'ordine pubblico. Chiediamo altresì che si faccia luce sulla responsabilità di chi ha ordinato che quell'ingresso fosse impedito”.
Il caso Sea
Watch dunque è tutt’altro che chiuso, nonostante il dissequestro operato oggi. La nave resta ferma e vige il rischio di una definitiva confisca, da qui le rimostranze ed un certo nervosismo ravvisato tra i membri dell’Ong.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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