Dito medio in aula: l'uomo col machete ora deride i giudici

Il marocchino Hamza Zirar è tornato di fronte al giudice e sono emersi numerosi precedenti a suo carico: dal furto alla ricettazione

Dito medio in aula: l'uomo col machete ora deride i giudici

Nessuna malattia mentale, anzi un curriculum criminale degno di nota. Hamza Zirar è tra i protagonisti delle pagine di cronaca degli ultimi giorni: il 28enne di origini marocchine è diventato "famoso" per aver rincorso un connazionale brandendo un machete nel quartiere Aurora di Torino. Filmato da alcuni passanti, il giovane era stato arrestato ma subito scarcerato. Ma non mancano le novità sul suo conto.

Ieri il 28enne, irregolare in Italia, è tornato di fronte al giudice per rispondere dell'accusa di lesioni e sono emersi a suo carico una lunga serie di precedenti. Per la precisione, il marocchino è stato fermato dalle forze dell'ordine ben dodici volte in un anno. Solo nel mese di maggio, cinque fermi. E non è finita qui: a carico dell'indagato un ordine di espulsione emesso nel luglio del 2021 dal prefetto di Milano. Nonostante ciò, Hamza Zirar ha fatto il bello e il cattivo tempo tra Torino e Milano, fino all'inseguimento con machete per le vie del capoluogo piemontese.

Furto, ricettazione, ma anche resistenza, invasione di edifici e interruzione di pubblico servizio: questi i reati commessi nel corso degli ultimi mesi dal giovane. Per chiudere in bellezza, come già ricordato, l'inseguimento con machete ai danni di un connazionale. Per non farsi mancare nulla, il 28enne si è presentato all'udienza mostrando il dito medio in aula all'indirizzo di pubblico e magistrati. E, spiega Libero, nessuno lo ha richiamato.

L'udienza è iniziata e subito rinviata dopo l'audizione di un testimone, il proprietario del bar "New York" di corso Giulio Cesare. "Quel giorno uscivano i bambini da scuola, la strada era affollata quando quella gente ha lanciato di tutto, ed è passato quello che impugnava il machete.

Il giorno dopo sono passati di nuovo davanti al mio locale e ne ho riconosciuto uno, era quello che veniva inseguito il giorno prima dall'imputato", le parole del titolare dell'esercizio. Ma c'è di più. Un altro testimone - che preferisce rimanere anonimo - ha spiegato che "hanno lottato perché sono tutti spacciatori, non malati psichiatrici".

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