Da domani comando io

Boom di professionisti nelle business school. Per diventare piccoli Marchionne

Da domani comando io

Per salire ai piani alti di un'azienda non basta prendere l'ascensore. Per scalare la piramide della carriera, spesso ripida e accidentata manco fosse una parete del Monte Bianco, bisogna mettere nello zaino - o nella ventiquattrore, se preferite - gli strumenti più diversi. Competenze ed esperienza, certo. Contano le relazioni personali, come ha provato a sottolineare (sollevando un polverone) il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Eppure gli strumenti più efficaci per arrampicarsi in cima ai ruoli di comando, alla fine, sono i più banali: penna e blocchetto per gli appunti. Perché adesso i professionisti tornano tra i banchi scuola. E ripartono dalle business school, inseguendo il motto: «Da domani comando io». Riuscendoci, a costo di sacrifici e spesso ricominciando da zero.
Se in Italia è una tendenza esplosa solo di recente, nel mondo anglosassone è prassi acquisita. Manager che vogliono fare il grande salto di qualità, magari spostandosi all'estero, quadri d'azienda con l'obiettivo di guadagnare posizioni di prestigio all'interno della realtà in cui operano, professionisti desiderosi di migliorarsi o di restare aggiornati, imprenditori tentati dal lanciarsi nell'avventura in proprio, aspiranti fondatori di start up. «Sono questi i tratti comuni delle centinaia di uomini e donne che hanno frequentato solo negli ultimi anni i nostri master Executive Mba e i percorsi di specializzazione nelle diverse aree funzionali di impresa», testimonia Francesco Gatto, responsabile Finance presso il Cuoa (Centro universitario di organizzazione aziendale), la Business School di Altavilla Vicentina che quest'anno compie 60 anni di attività, la più longeva d'Italia nel campo dell'alta formazione professionale. Ma cosa serve davvero ai professionisti per reinventarsi nuovi Briatore o Marchionne? Prima di tutto forti motivazioni, un impegno continuato per diversi mesi, in alcuni casi anche un biennio. Non va sottovalutato, quindi, l'impegno fisico di dover affrontare corsi della durata anche di 500 ore di durata, da affiancare al lavoro di tutti i giorni, oppure occupando interi weekend. «Certo, ricavare e sottrarre del tempo alla propria azienda e alla famiglia è un elemento non trascurabile - spiega Gatto -. E poi, dopo tanti anni di lavoro alle spalle, in molti devono (re)imparare a studiare. Naturalmente, le dinamiche di insegnamento e apprendimento sono diverse da quelle universitarie: la dialettica con i docenti è più aperta e paritaria. È dimostrato che l'approccio che permette di raccogliere più risultati è quello dello scambio». La condivisione di esperienze e di contatti, in una parola networking, fa sì che gli aspiranti numeri uno possano andare oltre slide e modelli teorici. Come dimostrano le storie personali raccontate in queste pagine, è frequente infatti che dallo sviluppo di un business plan a conclusione del percorso formativo nasca il seme di una nuova attività; o che un gruppo di allievi si metta insieme per lanciare una start up innovativa o qualsiasi altra avventura imprenditoriale. L'ultima ricerca sul campo svolta dal Cuoa certifica che il 67 per cento dei partecipanti a un master in business administration ottiene una promozione, o comunque può provare un miglioramento della posizione occupata all'interno dell'azienda. Dal punto di vista della retribuzione, inoltre, almeno un allievo su tre può contare su un aumento di stipendio su base annua dal 5 fino a oltre il 10 per cento.
Numeri che spiegano l'aumento della richiesta di formazione manageriale anche nel nostro Paese, sebbene non sempre chi voglia investire su stesso per il rilancio della carriera trovi terreno fertile. Sono ancora rare le realtà pubbliche e private che sono pronte a contribuire, interamente o in parte, alle spese. Per questo la stragrande maggioranza degli over 40 e 50 che si iscrivono a un corso di specializzazione lo fa a proprie spese. Considerando che l'esborso medio è intorno ai 15-20mila euro (più Iva), si comprende come questa possa essere un'alta barriera all'ingresso.

C'è anche una questione di natura fiscale, in quanto per un privato l'Iva non è scaricabile dalle tasse, mentre lo è per un'azienda che si fa carico della crescita dei dipendenti. Perciò le business school italiane chiedono allo Stato uno sforzo in più. E di lanciare una corda ai capitani d'azienda di domani, ma che oggi non hanno i mezzi per cominciare l'arrampicata.

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