Ecco dove nasce il vizio dei tribunali di disfare esecutivi

Barbara Berlusconi: "Sembra il 1994". Tutto inizia con la crisi del "Craxi bis"

Ecco dove nasce il vizio dei tribunali di disfare esecutivi

Sempre loro. I magistrati fanno e disfano i governi, si dice: ma non è vero, li disfano e basta. Non è neanche vero che tutto iniziò con Berlusconi e con l'invito «a scomparire» del novembre 1994: le toghe si erano allenate già prima, e alla grande. C'entravano e c'entrano sempre loro. La crisi del secondo governo Craxi (9 aprile 1987) si consumò sul referendum per la responsabilità civile dei magistrati, avversato dalle toghe e dai loro addentellati parlamentari: la Dc e il Pci ricorsero alle elezioni anticipate pur di rinviarlo per un tempo sufficiente a elaborare una leggina che lasciò le toghe impunite, allora come oggi.

Poi ci fu Mani pulite e il tiro al ministro divenne un toto-scommesse. Per il «candidato unico» Bettino Craxi non servì neppure un avviso di garanzia: correvano voci di un suo coinvolgimento e il Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, se lo fece bastare per nominare premier Giuliano Amato. Poi si andò di ghigliottina. Solo nel febbraio 1992 furono «avvisati» e fatti fuori i ministri Martelli, Reviglio, Goria e De Lorenzo. Prima ancora, peraltro, l'intero governo fu delegittimato dalle minacciate dimissioni del Pool di Milano per via del Decreto Conso che doveva favorire un'uscita da Tangentopoli: ma un pavido Scalfaro non controfirmò la legge e rese chiaro chi comandava. Sempre loro. Per via di quel Decreto, che li orripilava, si dimisero altri due ministri, Carlo Ripa di Meana e Valdo Spini. Poi, sempre per faccende di Mani pulite, nel tardo aprile 1993 alcune mancate richieste di autorizzazione a procedere contro Craxi (votate in Parlamento) fecero vacillare il neonato governo Ciampi e si dimisero per protesta altri quattro ministri: Barbera, Berlinguer, Visco e Rutelli. Ed eccoci alla Seconda Repubblica e a Silvio Berlusconi, a cui la notizia di un mandato di comparizione giunse a mezzo stampa mentre a Napoli presiedeva una conferenza internazionale sulla criminalità; l'indagine, cui seguirà un processo con piena assoluzione, era stata preceduta da fughe di notizie sui «livelli altissimi» che sarebbero stati lambiti. L'indebolimento politico di Berlusconi favorirà una crisi aperta ufficialmente dalla Lega di Bossi sul tema delle pensioni, ma, pochi mesi prima, la stessa Lega aveva costretto il premier a neutralizzare una legge contro l'abuso del carcere preventivo (Decreto Biondi, già firmato da Scalfaro) e insomma: sempre loro. Al governo poi andò Romano Prodi con ministro uno di loro (Antonio Di Pietro) ma il tramonto di Mani pulite non fermò la deriva giudiziaria ammazza-governi. Nel gennaio 2008 scattarono le manette per Alessandra Lonardo, moglie dell'allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, che a sua volta finì indagato e si dimise: per il governo fu un'agonia sotto il peso delle rivelazioni giudiziarie (insussistenti: le sentenze saranno di assoluzione) anche se la caduta di Prodi all'atto pratico fu dovuta al mancato voto di un senatore dell'estrema sinistra, Franco Turigliatto.

Nel 2010 ecco il governo Berlusconi IV, ma l'allora ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, indagato, dovette dimettersi per la faccenda di un appartamento con vista sul Colosseo: sarà assolto e poi prescritto. Ma, sempre in quel 2010, nello stesso governo, il ministro Aldo Brancher finì indagato per la tentata scalata ad Antonveneta e dovette dimettersi. Il reato sarà indultato. La tempesta giudiziaria sulle «cene eleganti» di Berlusconi è solo dell'anno dopo, anche se un'altra tempesta, quella internazionale e finanziaria, avrebbe presto portato Mario Monti a Palazzo Chigi. Ormai i problemi giudiziari erano una sindrome. Nell'aprile 2013, a Josefa Idem, ex campionessa olimpica nonché ministro piddino per lo Sport nel governo Letta, per dimettersi bastò il mancato pagamento di alcune quote Ici e Imu. La Idem pagherà un'ammenda di 3000 euro e stop. Poi toccherà a Nunzia De Girolamo, ministro dell'Agricoltura: indagata in un procedimento sulle Asl di Benevento (con pubblicazione di intercettazioni) si dimise anche se finirà archiviata tre anni dopo. Nel 2015, a proposito di intercettazioni, con il governo Renzi, toccò al ministro delle infrastrutture Maurizio Lupi: suo figlio era andato a fare uno stage da un vecchio amico di famiglia che gli aveva regalato un Rolex, e la cosa, distorta, finì sui giornali. Si dimise anche se non era indagato. Nel governo Renzi c'era anche l'imprenditrice Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico: il suo nome risultò in un'inchiesta di Potenza sullo smaltimento di rifiuti (altre intercettazioni sui giornali) e allora la ministra neppure indagata, indovinate un po', si dimise. Sarà un'altra archiviazione. Manca lo spazio per aggiornare questo articolo sino all'oggi (i sottosegretari dimessi dai governi Conte, il tema «prescrizione» a far vacillare le alleanze) e soprattutto aggiornarlo al governo Meloni, assediato dalla Magistratura anche perché di Magistratura si occupa, con le sue riforme. Sempre loro.

Ma è solo l'ultima puntata, e la memoria vacilla: anche se Barbara Berlusconi, che nel 1994 aveva solo dieci anni, qualcosa ricorda: «Il pensiero va all'avviso di garanzia che ricevette mio padre. Non so se si tratti, come la definiva lui, di giustizia a orologeria, ma il sospetto è legittimo». E il sospetto giudiziario, come hanno insegnato gli ultimi quarant'anni di inchieste, spesso è l'anticamera del nulla.

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