Energia e sanità. Perché è giusto copiare Milei

Gli applausi tributati dal centrodestra al presidente argentino Milei hanno sottolineato le affinità su certe politiche di conservazione sociale

Energia e sanità. Perché è giusto copiare Milei

I giorni a cavallo tra la fine dell'anno e l'inizio di quello nuovo sono dedicati ai bilanci e ai propositi. Il governo Meloni ha visto approvata dal Parlamento la sua terza legge di spesa, dunque siamo oltre la metà della legislatura. Un tempo che ci consente una valutazione piuttosto completa dei risultati raggiunti e delle sfide per ora accantonate. E non sono poche.

Indubbi i meriti dell'esecutivo nel consolidare la credibilità del sistema paese ereditata dall'esperienza Draghi. Una esperienza da cui la premier e il suo ministro dell'Economia hanno tratto numerosi spunti. La teoria del «debito buono» che privilegia la spesa per investimenti rispetto alla spesa corrente, per fare un esempio semplice: fuori il reddito assistenziale di cittadinanza e dentro le infrastrutture del Pnrr e del Piano Nazionale Complementare.

Attenzione al rapporto deficit-Pil regolato dal nuovo Patto di Stabilità Europeo, una sensibilità non scontata che ha rafforzato la credibilità del nostro immenso debito portando lo spread a livelli molto bassi.

E ancora, una sia pur timida riduzione delle tasse, soprattutto dei redditi più bassi e delle piccole imprese più fragili. Una scelta che, oltre ad essere equa, contribuisce a sostenere una domanda interna bloccata dalla bassa rivalutazione di salari e stipendi.

Infine, la scelta di porsi con attitudine dialogante rispetto all'Europa, pure governata da una maggioranza difforme da quella nostrana, e il netto posizionamento all'interno del quadro di alleanze sono state due mosse fondamentali per allontanare dall'opinione pubblica qualificata del mondo e dai mercati finanziari una sensazione di avventurismo che poteva trasparire da certi slogan della campagna elettorale.

Primum vivere, deinde philosophare sentenziavano con saggezza i nostri antenati romani. E il governo in questo senso è stato saggio.

Restano tuttavia inevasi tutti i temi per i quali sarebbero necessarie riforme strutturali. Gli applausi tributati dal centrodestra al presidente argentino Milei hanno sottolineato le affinità su certe politiche di conservazione sociale, dimenticando totalmente di prendere in esame la vera lezione del capo di Stato sudamericano, cioè il ritorno sulla scena di politiche neo liberiste abbandonate dopo l'era Reagan e Thatcher.

Taglio della spesa, Stato minimo e burocrazia limitata, sussidiarietà e competizione tra pubblico e privato nella gestione dei servizi, produttività del lavoro agganciata ai salari, taglio delle tasse generalizzato e ovviamente collegato ad una riduzione delle garanzie e dei servizi, nella convinzione che i cittadini useranno i soldi nelle loro tasche meglio della politica.

Ci sono almeno due settori che saranno decisivi nei prossimi anni per dare equilibro alla vita economica e sociale del Paese su cui poco è stato fatto: sanità ed energia.

Il governo dice la verità quando sostiene di aver aumentato il fondo nazionale per le cure. Quello che nessuno dice è che già oggi in Italia si spende molto di più per bisogni sanitari e sociosanitari di quanto qualsiasi Esecutivo sarebbe in grado di stanziare e la cifra è destinata ad aumentare con l'invecchiamento inevitabile della popolazione. Non solo, quel che anche il sindacato vociante non dice è che se pure avessimo i denari che non abbiamo, non avremmo comunque la possibilità di reperire sul mercato le professionalità necessarie. Ci vorranno almeno 15 anni, infatti, per rimediare alle sbagliate programmazioni che hanno formato meno personale sanitario del necessario. E questa riscossa non è neppure cominciata, visto che molte scuole di specializzazione restano con i posti vuoti.

Per risolvere il tema sanità, divenuto così centrale nel dibattito politico, non servono slogan, servono riforme profonde. E talvolta scomode. Per garantire in poco tempo la quantità di prestazioni richieste occorre rendere più competitivo il sistema stesso: rivedere i contratti del pubblico impiego e della medicina generale, premiando la produttività, liberare le risorse private mettendole in reale concorrenza con il pubblico, interrompere la proletarizzazione del mondo sanitario, tornado a premiare le differenze e il merito, rivedere i mansionari delle varie categorie. Coinvolgere mutue, fondi e assicurazioni private nella sostenibilità della spesa sanitaria.

Una riforma profonda che non mancherebbe di generare anticorpi e resistenze, ma senza la quale difficilmente si raddrizzerà il piano inclinato su cui scivola il nostro sistema sanitario. E, di fronte agli slogan della sinistra, con una agenda tutta orientata alla sanità pubblica, bisognerebbe avere il coraggio di Milei per dire che lo Stato non ha il dovere di gestire ospedali, ma di garantire le cure, siano esse offerte, ovviamente senza costi per i cittadini, da pubblico o privato indifferentemente.

Stesso ragionamento vale per l'energia. Dopo la crisi russo-ucraina e dopo un piano energetico nazionale approntato in emergenza dal governo Draghi, nessuno dei temi strutturali appare definitivamente risolto. Tanto è vero che, mentre infuriano nel Paese, tollerate e spesso cavalcate dalla politica di tutti i colori, le varie sindromi Nimby e le proteste contro gli impianti energetici, le bollette si apprestano a crescere di nuovo oltre il 20%. E quando dovremo fare a meno anche dell'ultimo gas russo, i problemi aumenteranno.

Eppure, mentre a Roma tutti sembrano ascoltare con orecchio attento gli accorati appelli del mondo produttivo e dei consumatori che pagano l'energia tre volte gli spagnoli e il doppio dei tedeschi e dei francesi, la musica cambia appena si prevede una istallazione su un territorio. Allora quelle stesse classi dirigenti politiche sono in prima fila a guidare le manifestazioni contro dighe, campi eolici, rigassificatori. Tutti vogliono energia a casa propria, nessuno vuole che la si produca vicino a casa propria.

Anche in questo campo serve una riforma profonda delle regole, oltre che un impegno di serietà politica. Oggi tutti si dicono favorevoli al nucleare, semplicemente perché ancora non c'è. La nuova generazione di reattori sarà disponibile solo tra dieci o più anni. Facile, per chi oggi osteggia altri impianti, dirsi favorevoli a qualcosa che ancora non esiste. Per un sussulto di serietà dovremmo decidere già oggi dove posizionare i primi dieci, venti reattori. Allora vedreste subito cambiare il quadro e convocare le prime manifestazioni.

So bene che le riforme costano molta fatica: appare subito chiaro quali categorie perderanno dei privilegi, e queste protesteranno, ma restano indeterminati i soggetti che ne avranno benefici, che dunque resteranno alla finestra.

Resta il fatto che,

stabilizzato il malato, poi occorre curarlo, rimetterlo in piedi e garantirgli orizzonti di lungo periodo.

Il governo oggi ha di fronte questa sfida: non solo applaudire Milei, ma farsi ispirare almeno un po' dal suo agire.

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